“Il pensiero va soprattutto e anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini. È sufficiente questo”. Sono state le parole di Sergio Mattarella, subito dopo aver ricevuto la comunicazione di essere stato eletto Presidente della Repubblica Italiana. Ma se questo avvenimento ha caratterizzato la politica nostrana nell’ultimo giorno di gennaio, in Europa è successo altro.
In Grecia, a seguito delle elezioni, si è formato un nuovo governo e le principali capitali continentali hanno ricevuto la visita del duo Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis, rispettivamente premier e ministro delle Finanze della compagine ellenica. Alla veloce elezione, al quarto scrutinio, del nuovo inquilino dell’alto Colle ha fatto da contrasto, quindi, l’annosa vicenda che vede l’Eurozona confrontarsi col caso greco da cui partì agli inizi del 2010 la crisi dei titoli sovrani dei Paesi periferici del vecchio continente.
La Bce ha deciso di bloccare l’erogazione di liquidità alle banche greche se entro il 28 febbraio la Grecia non troverà un accordo con la troika. “Nella crisi- ricorda l’economista Alberto Quadrio Curzio- la Grecia ha perso il 25% del suo Pil e quindi non bastano crescite all’1% (quella del 2014) e del 2,5% (prevista nel 2015) per recuperare il crollo”. Se Atene piange, invece, per l’Europa si apre un anno con meno lacrime e Roma ne è consapevole. Il calo del prezzo del petrolio e l’indebolimento dell’euro stanno effettivamente aiutando l’economia europea.
Secondo le previsioni della Commissione europea in Italia il prodotto interno lordo dovrebbe aumentare dello 0,6% nel 2015. La crescita dovrebbe accelerare all’1,3% nel 2016. Inoltre, il deficit nazionale è previsto al 3,0% del Pil nel 2014, al 2,6% del Pil nel 2015 e al 2,0% del Pil nel 2016.
Questa tendenza trova riscontro anche nei dati diffusi dalla Banca d’Italia. La stima di crescita per l’anno in corso diventa superiore allo 0,5% rispetto al più 0,4% delineato a metà gennaio prima dell’annuncio dei dettagli del “Quantitative easing”, mentre per il 2016 sale oltre l’1,5%. Questo rimbalzo positivo è utile, ma non deve farci cullare sugli allori.
Sicuramente, depone bene in vista del confronto con Federmeccanica per il rinnovo del nostro contratto nazionale che scade a fine anno. Ma la sostanza del problema rimane invariata. “Serve- come spiega il giornalista Enrico Cisnetto- una politica industriale che metta in campo risorse e strategie di lungo termine”. E’ bene che il sindacato si caratterizzi nel perseguimento di una utile politica contrattuale, ma soprattutto ora, previsto che almeno per un anno soffierà un favorevole vento economico, dovrà impegnarsi a suggerire anche indicazioni di politica economica.
Da questa propensione può dipendere la rinascita economica e sociale dell’Italia, attraverso il reperimento e successivo investimento di risorse in infrastrutture (rivolte principalmente al settore industriale e a quello manifatturiero, in particolare) di cui abbisogna il Paese per risollevarsi. Ci si può riuscire con le parole e coi fatti.
Antonello Di Mario
Direttore di “Fabbrica Società