Per sconfiggere qualsiasi nemico occorre per prima cosa conoscerlo. L’Isis è poco conosciuto. Anche quando lo è, non se ne comprende la logica. Ci si accontenta di definirlo fanatico e folle. Invece segue una sua logica precisa, che esercita una grande attrazione sui giovani islamici.
Combatte una guerra di religione, che l’Occidente non conosce da secoli. E’ estranea alla sua cultura etico-politica. Il continuo riferimento a versetti del Corano – ad esempio per giustificare la condanna al rogo del pilota giordano o la decapitazione di avversari o la condanna della Fratellanza Musulmana come gruppo apostata – sono pressoché incomprensibili per la laica Europa.
Occorre convincersi che nella lotta contro l’Isis gli aspetti teologici sono centrali. L’ha compreso il presidente egiziano al-Sisi. Nel suo recente discorso all’università al-Azhar, centro culturale del sunnismo, ha sollecitato la rilettura e l’approfondimento dei testi sacri dell’Islam, per dar loro un’interpretazione corrispondente ai tempi, che consenta cioè la modernizzazione economica, politica e istituzionale dei Paesi islamici, erodendo la forza d’attrazione degli estremisti.
Interessante, per comprendere che cosa sia la logica seguita dall’Isis nelle sue scelte politiche, strategiche e anche economico-sociali e nella propaganda, che rappresenta un fattore centrale dei suoi successi e delle preoccupazioni dell’Occidente, è l’esame delle sue differenze dall’“organizzazione madre”, cioè da al-Qaeda, e la sua collocazione nello scontro esistente nella “mezzaluna fertile” fra lo Sciismo e il Sunnismo e, all’interno di quest’ultimo fra i Salafiti, divisi poi in varie fazioni più o meno radicali, e i Fratelli Musulmani.
L’Isis e al-Qaeda si odiano. Sono in concorrenza per il potere, che specie nei Paesi islamici non si divide mai. In Siria, gli scontri delle formazioni del Califfato con il Fronte al-qaedista al-Nusra hanno causato più di 3mila morti. In Libia, le milizie più potenti – quelle di Misurata, forti di 40mila effettivi e di 500–800 mezzi corazzati – fanno in gran parte capo alla Fratellanza Musulmana. Non accetteranno di spartire il potere con le forze del Califfato. Sono preoccupate dall’attrazione che esercita sui loro giovani. A differenza dell’Irak e della Siria, l’Isis in Libia non può avvalersi del vuoto di potenza causato dai contrasti confessionali. In Libia non vi sono vuoti, anche se la situazione rimane caotica. Potere e ricchezza sono divisi fra circa 350 milizie, 150 tribù e vari raggruppamenti clanici. Nessuno è disponibile a rinunciarci anche in parte a favore del Califfato.
La stessa presenza del Califfato in Libia è probabilmente funzionale allo scontro in Medio Oriente. La Libia non può divenire, contrariamente alle affermazioni di taluni analisti strategici, la base di partenza dell’Isis per un attacco all’Europa meridionale. La sua espansione alla Libia collega il caso libico alla lotta in corso in Medio Oriente. Essa vede contrapposti Turchia e Qatar, che appoggiano l’Operazione Alba di Tripoli e Misurata, a Egitto, Emirati arabi uniti e dietro le quinte l’Arabia Saudita, che sostengono l’Operazione Dignità del governo di Tobruk, del generale Haftar e, a Ovest, delle milizie di Zintan. L’Algeria per ora non si è schierata. E’ però probabile che debba prima o poi farlo. L’instabilità libica è troppo pericolosa per essa e per la Tunisia.
Gli obiettivi di lungo termine dell’Isis sono identici a quelli di al-Qaeda. Quelli a breve-medio termine sono quasi opposti. Al-Qaeda dà priorità alla lotta contro il nemico lontano, cioè l’Occidente, e agli attentati terroristici. E’ una rete articolata in gruppi regionali, pronta a nascondersi nella società. La sua ideologia o escatologia non è millenaristica e apocalittica come quella dell’Isis. Non ricorre alle minacce e alla ferocia di massa.
L’Isis invece lo fa. E’ evidente la sua volontà di provocare una reazione e un’escalation della lotta. Prende sul serio la profezia di Maometto che l’attacco di “Roma” a Dabiq (che, per inciso, è il nome del giornale del Califfato), città situata sul confine nord-occidentale fra la Siria e la Turchia, accelererà l’avvento del Mahdi e il trionfo dell’Islam, prima della fine della Terra. I suoi successi in Irak e in Siria e la sua eccellente organizzazione comunicativa – la cui efficacia è amplificata dalla tendenza dei media occidentali a drammatizzare ogni notizia, per produrre emozioni forti e aumentare l’audience – hanno indotto a pensare che lo Stato Islamico abbia ormai surclassato la rete terroristica creata da Osama bin Laden. Il ragionamento dominante in Occidente è semplice: un’ideologia ha successo quando si sostituisce a una che ha fallito, che non entusiasma più e che non attrae reclute e finanziamenti. Invece, a parer mio, al-Qaeda non va sottovalutata. Le sue capacità operative sopravvivono in gruppi regionali come l’Aqim e l’Aqap. E’ presente con i “lupi solitari” in Europa. La pericolosità dell’Isis, soprattutto la sua presenza in Libia, mi sembra decisamente sopravvalutata. In Italia ha dato talvolta luogo a fenomeni quasi d’isteria.
I successi dello Stato Islamico soprattutto in Irak, ma anche in Siria sono derivati dal sostegno massiccio che ha ricevuto dalle tribù e milizie sunnite, discriminate in modo irresponsabile, dopo il ritiro delle forze americane, dal governo sciita di Nuri al-Maliki. L’Isis ha predisposto in poco tempo strutture politiche, militari, economiche e anche religiose estremamente efficienti. Ha saputo mobilitare, con i suoi successi e con la sua escatologia millenaristica, valori profondi esistenti nell’immaginario collettivo soprattutto dei giovani musulmani, anche in Paesi lontani dal Medio Oriente, come la Tunisia. Si autofinanzia. E’ quindi resiliente al blocco dei finanziamenti esterni. Con le ricchezze a sua disposizione, attrae reclute anche dagli strati più poveri delle popolazioni musulmane, pagando mensilmente ai suoi combattenti e collaboratori da 500 a 1.500 dollari. Gestisce con competenza i territori occupati, fornendo alla popolazione i servizi sociali essenziali. Il mito di aver creato un mondo più giusto accresce la sua forza d’attrazione.
A differenza di al-Qaeda, dispone di un territorio e di un esercito con decine di migliaia di combattenti disciplinati, capaci di condurre operazioni sofisticate, caratterizzate da una spiccata flessibilità tattica e dotate di un buon supporto logistico. Ha un sistema di comando e controllo articolato in due settori principali: uno in Irak l’altro in Siria, ciascuno agli ordini di un ex-generale di Saddam Hussein. Alle loro dipendenze vi sono dodici emiri, autorità amministrative e militari. Ciascuno è posto a capo di una provincia ed è in possesso di un’elevata autonomia. Essi sono ex-ufficiali iracheni o ex-appartenenti ad al-Qaeda, come il ceceno, vero genio tattico, che comanda le forze operanti a ovest di Baghdad.
Sempre a differenza dell’ascetico al-Qaeda, l’Isis provvede i suoi combattenti con donne, in parte volontarie, anche provenienti dall’estero, come le tre studentesse britanniche che hanno recentemente raggiunto la Siria. Parte delle donne del Califfato sono schiave; altre sono state costrette a divenire concubine di guerrieri e amministratori. Si valuta che 200-300 giovani donne occidentali abbiano raggiunto l’Isis, per divenire mogli o concubine dei guerrieri di Allah.
L’Isis impiega un feroce terrore, previsto da taluni dei testi sacri dell’Islam. Con esso, mantiene uno stretto controllo della popolazione dei territori conquistati, intimidisce gli avversari e incentiva i reclutamenti specie di giovani fanatici, che l’Occidente considera psicopatici, perché sono motivati dal culto della morte. La sua forza deriva comunque dal controllo di un territorio, in cui applica l’interpretazione più radicale e brutale della sharia nei suoi aspetti religiosi, giuridici ed economici. Senza il territorio non potrebbe esistere un Califfato.
Tale punto di forza costituisce però anche la maggiore vulnerabilità dell’Isis. A differenza di al-Qaeda può essere distrutto. Gli Usa hanno puntato sulla reazione delle popolazioni soggette al Califfato contro la sua ferocia e rigorismo religioso. Ritengo improbabile che abbiano successo.
E’ impossibile la ripetizione di un Sunni Awakening, analogo a quello verificatosi in Irak nel 2007-08 in parallelo con il surge americano del generale David Petraeus. I sunniti sono stati troppo perseguitati dal regime sciita di Baghdad.
La ferocia dell’Isis non è certamente condivisa dalla massa dei musulmani. Costituisce però un fattore d’attrazione, brillantemente sfruttato dalla sua abilissima propaganda. Rappresenta il Califfato come l’unica forza che possa difendere i sunniti, specie in Irak. La propaganda di al-Qaeda è meno efficace. La direzione strategica della rete proviene dai ceti medio-alti delle società musulmane. E’ meno legata a temi quali la giustizia sociale e il benessere, anche perché non ha un territorio.
Il contrasto dell’Isis non può basarsi sulle tattiche dell’antiterrorismo, che hanno eroso le capacità operative di al-Qaeda, né su quelle dell’anti-insurrezione, messe a punto in Afghanistan e in Irak. Le forze dell’Isis sono molto simili a quelle regolari, anche se largo spazio viene lasciato alle tattiche irregolari, proprie del terrorismo e della guerriglia.
Occorre sconfiggerlo sul campo, conquistando il territorio che controlla, con un’azione di “contenimento offensivo”, simile a quella immaginata dagli americani per la riconquista di Mosul. Solo in tal modo, con una sconfitta eclatante, l’Isis perderà gran parte della sua forza d’attrazione. Così come nulla ha più successo di una vittoria, nulla è più dannoso di una sconfitta. Il Califfato in teatri complementari, differenti da quello mediorientale, come in Libia e nel Sahel, verrà sconfitto in Medio Oriente. E’ lì che si svolgerà la battaglia decisiva. Nel frattempo, l’Occidente deve continuare la lotta al terrorismo nei suoi territori, ma non lasciarsi distrarre da diversivi del tipo Libia, dove il problema non è l’Isis, ma il caos e la frammentazione del Paese in milizie.