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Che cosa penso del salario minimo allo studio del governo

I recenti successi giudiziari di Silvio Berlusconi sono sicuramente merito della linea difensiva  del nuovo collegio degli avvocati il quale ha scelto di non negare l’evidenza ma di attenersi ad un’impostazione tecnico-giuridica, sfuggendo come la peste la tesi del ‘’processo politico’’.

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La retromarcia di Silvio Berlusconi sulle riforme è tardiva, non giustificata e tattica. Tardiva perché, con riferimento alla prima lettura, i guai peggiori sono già stati combinati a partire dal Senato (tutti ricordano l’abbraccio tra Maria Elena Boschi e Paolo Romani al momento dell’approvazione della c.d. riforma costituzionale a Palazzo Madama). Non a caso, di nuovo, il Senato esaminerà soltanto le parti ‘’non condivise’’ da un voto delle due Camere; e quindi le modifiche marginali introdotte a Montecitorio. Non giustificata, perché non si comprende come sia potuto accadere che quanto in precedenza veniva rivendicato alla propria linea politica, ora diventi il prodromo di una dittatura. Tattica, perché legata ad un accordo capestro con la Lega nelle elezioni regionali.

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Se proprio si vuole ‘’far saltare il banco’’ l’occasione vera la potrebbe fornire la mancata approvazione dell’Italicum. Se si andasse a votare, tra pochi mesi, con il Consultellum, non ci sarebbero né il tempo né le condizioni per portare a conclusione il massacro della Costituzione e sarebbe eletto, probabilmente, un Parlamento la cui composizione costringerebbe Renzi a combinare governi di coalizione.  Ma ne esiste ancora una qualche possibilità?

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Stando a quanto ha scritto un importante quotidiano, il Governo, nel dare corso ai decreti attuativi del Jobs act Poletti 2.0, starebbe lavorando ad un’ipotesi di salario minimo legale. Va chiarito, innanzi tutto, che il salario minimo non ha nulla da spartire con il reddito minimo garantito proposto dal M5s: il primo è un livello legale a cui devono attenersi le retribuzioni; il secondo è una prestazione sociale a carico dello Stato. Poi è bene segnalare che l’introduzione del nuovo istituto, nel nostro sistema, rischia di non essere conveniente per i lavoratori. Da noi, il salario minimo esiste già anche se non si chiama così. E a prevederlo è, niente meno, un articolo della Costituzione ritenuto precettivo da una giurisprudenza consolidata pluridecennale. Nell’articolo 36 della Carta è sancito che il lavoratore ha diritto a una ‘’retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa’’. E i giudici, chiamati a definire tale trattamento, hanno fatto costantemente riferimento alla retribuzione di base (i c.d. minimi tabellari) prevista dai contratti collettivi nazionali di categoria o di settore produttivo. Per i collaboratori una soluzione è indicata nella legge Fornero, a cui basterebbe dare applicazione.

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