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Contratti e investimenti, un paio di proposte

I sindacati metalmeccanici hanno manifestato serie intenzioni a voler rinnovare il contratto nazionale di categoria che scade a fine anno. Il loro impegno si esplica, fin da subito, in un paio d’azioni.

La prima è che le suddette organizzazioni dovranno costruire una piattaforma rivendicativa da presentare alla controparte. Il fatto che stiano tentando di farlo insieme è già una novità, ricordando la stagione dei molti contratti, senza la firma della Fiom, aperta nella primavera del 2001.

La seconda azione è costituita dal fatto che il risultato del lavoro “in itinere”, convergente o meno in un’unica piattaforma, dovrà essere pronto prima della prossima estate. Finora, la federazione degli imprenditori metalmeccanici non ha avanzato segnali convincenti a favore del rinnovo contrattuale in questione.

E’ evidente che la contrattazione soffra per via della deflazione. Un po’ di respiro lo assicurano le previsioni della Bce che prevedono per l’Eurozona un inflazione di un punto e mezzo percentuale nel 2016 e di quasi due punti nell’anno seguente. In ogni caso, è molto probabile che Federmeccanica, quando si siederà al tavolo per trattare, inizierà a chiedere indietro quanto ha dato in più col contratto in scadenza rispetto all’attuale andamento dei prezzi. Un esordio a cui i sindacati dovranno replicare con richieste puntuali, attente a cogliere ogni segno di crescita da parte del settore e utili a “spuntare” adeguati incrementi retributivi.

E’ risaputo che il Paese può crescere in termini di ricchezza solo grazie agli investimenti pubblici e privati. Compito del sindacato è fare accordi e contratti, affinchè il potere d’acquisto delle retribuzioni torni a crescere. Ma è anche quello di avanzare proposte di politica economica utili alla ripresa.

Quindi, è bene chiedere gli investimenti, ma lo è altrettanto indicare anche dove trovare le risorse per sostenerli. Il Paese ha bisogno di una campagna di investimenti pubblici per diverse decine di miliardi di euro, con cui scuotere dalle fondamenta il sistema economico nazionale. Come procurarsi una così ingente quantità di denaro, dato il vincolo del tre per cento sul rapporto deficit pubblico/Pil?

L’Italia ha un patrimonio pubblico stimato tra 1.800 e 1.000 miliardi di euro, di cui diverse centinaia, almeno 700 secondo l’economista Edoardo Reviglio, rappresentati da partecipazioni, crediti e anticipazioni attive, immobili e concessioni immediatamente fruibili. Una parte di questo patrimonio (proprio qualche decina di miliardi) potrebbe confluire in un fondo garantito dalla Cassa Depositi e Prestiti con l’obiettivo di liquidare in cinque anni gli “asset” in portafoglio.

Quote di questo fondo, remunerate come i titoli di Stato di pari scadenza, andrebbero sottoscritte dai grandi investitori istituzionali (come Assicurazioni, Fondi Pensioni e Casse Previdenziali, la stessa Cassa Depositi e Prestiti) dotati di ingenti risorse patrimoniali.

L’operazione di cartolarizzazione descritta, per entità e modalità, non creerebbe problemi agli operatori coinvolti e non violerebbe gli impegni assunti coi trattati comunitari. Si tratta di una proposta che andrebbe programmata con cura e gestita con lungimiranza,perché indispensabile soprattutto agli investimenti rivolti al settore industriale e a quello manifatturiero.

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