Ancora più importante e significativa della vittoria giudiziaria conseguita da Silvio Berlusconi con la conferma definitiva dell’assoluzione dalle accuse di concussione e di prostituzione minorile con Ruby Rubacuori è la sconfitta politica, e non solo giudiziaria, di tutti i tentativi compiuti d’influenzare la Corte di Cassazione alla vigilia del suo verdetto.
Nulla si erano davvero risparmiati gli antiberlusconiani irriducibili per indurre in tentazione, diciamo così, i supremi giudici chiamati a pronunciarsi sull’assoluzione già guadagnatasi l’anno scorso da Berlusconi nella Corte d’Appello di un tribunale, quello di Milano, pur solitamente non incline a favorirlo.
Si era cominciato con il rilancio dell’inchiesta per corruzione di testimoni – le cosiddette olgettine – sull’onda dalla sentenza di condanna a sette anni di reclusione emessa dal collegio dei tre giudici, anzi delle giudici di prima istanza. Due delle quali, peraltro, non si sono trattenute neppure di fronte al rovesciamento del verdetto in secondo grado dall’intraprendere azioni per diffamazione contro i giornalisti azzarditisi a criticarle, fra cui Giuliano Ferrara, Mario Sechi, il sottoscritto e Sarina Biraghi.
Si spera che ora, dopo il ribaltamento definitivo della loro sentenza, le signore denuncianti si risparmino dall’insistere e i giudici di Brescia, competenti territorialmente, dal condividerne le iniziative. Non sarebbe forse male neppure se il Consiglio Superiore della Magistratura allungasse lo sguardo su questa vicenda di toghe facili a scambiare per diffamazione l’esercizio della critica e ad aprire una vertenza dalle posizioni oggettivamente impari: da una parte i magistrati come attori, inquirenti e giudici, dall’altra i giornalisti.
Dopo il rilancio dell’inchiesta della Procura di Milano contro Berlusconi per corruzione delle “olgettine” in atti giudiziari, con il pericolo di un provvedimento restrittivo avvertito dallo stesso Berlusconi, non più protetto dall’immunità parlamentare, erano arrivate le diffusioni a scoppio ritardato delle registrazioni, di assai dubbia legittimità, di pruriginose conversazioni telefoniche di cinque anni fa fra l’allora presidente del Consiglio Berlusconi e Gianpaolo Tarantini, sotto processo a Bari per associazione a delinquere e favoreggiamento della prostituzione. Un processo nel quale si era cercato mediaticamente di estendere a Berlusconi il ruolo d’imputato con veleni fermatisi però sulla soglia della Cassazione.
Pur alle prese ancora con problemi giudiziari, e non solo quelli milanesi che portano il nome delle “olgettine”, sospettate di essere state pagate per mentire a favore dell’ormai ex imputato, ma già alleggerito dalla fine dei servizi sociali scontati nel ricovero di Cesano Boscone dopo la condanna definitiva del 2013 per frode fiscale, Berlusconi potrà ora affrontare meglio le sue pur notevoli difficoltà politiche. Potrà affrontarle meglio sia all’interno che all’esterno del suo schieramento.
All’interno della sua Forza Italia Berlusconi potrà ben replicare a quelli che hanno accettato “più per lealtà che per disciplina” e convinzione il no dei deputati azzurri alla riforma costituzionale del Senato concordata con il governo prima della rottura per l’elezione di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica.
All’esterno l’ex presidente del Consiglio se la potrà vedere meglio con un solo nome e due cognomi. Il nome è Matteo. I cognomi sono quelli di Salvini e di Renzi.
Salvini, appena reduce dall’a sbrigativa espulsione del dissidente Flavio Tosi dalla Lega e smanioso di prendere il posto di Berlusconi come leader di un nuovo centrodestra, deve mentalmente riavvolgere quello striscione calato a fine febbraio dal Pincio sulla Piazza romana del Popolo affollata di legofascisti per annunciare l’ennesimo, prematuro funerale politico di Berlusconi, senza salma.
Renzi, nonostante i commenti trionfalistici allo scontato e primo voto favorevole della Camera, dove il premio di maggioranza guadagnato dal Pd con una legge elettorale bocciata dalla Corte Costituzionale gli dà larghi margini di manovra, deve fare adesso meno spallucce di fronte alle difficoltà del percorso delle sue riforme istituzionali non più sostenute da Berlusconi, e sgradite anche alla minoranza agitata del proprio partito. Nell’altro ramo del Parlamento, dopo il verdetto liberatorio della Cassazione, la partita con il pur non più senatore Berlusconi potrà essere per il presidente del Consiglio un vero e proprio azzardo.
“Rieccolo”, diceva Indro Montanelli di Amintore Fanfani. “Ririeccolo”, ridirebbe forse del suo pur non più amico ed editore di Arcore.