“Sulla Libia occorre una soluzione efficace, con l’Italia e la Commissione Europea dobbiamo prendere rapide decisioni”. Così l’Ambasciatore americano a Roma, John Phillips, risponde a Formiche.net a margine del seminario “Freedom of expression in a complex new world” promosso dall’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” sulle nuove frontiere della comunicazione dopo il massacro di Charlie Hebdo e lo spettro dell’Isis.
LIBIA
Il caso libico secondo Phillips “è una priorità per l’agenda italiana in una situazione di estrema criticità”. Al momento il Paese “non ha un governo funzionante e rischia nei fatti una guerra civile”. Su un ruolo maggiormente attivo dell’Italia è “un obiettivo interessante anche perché non vi sarebbero resistenze dal governo locale di Tobruk”. Si tratta di un “Paese straordinario, con sei milioni di abitanti e riserve di greggio incredibili”, ciò che manca è un governo solido che prenda decisioni”. Il prossimo passo? “Dobbiamo guardare ad una soluzione efficace, con l’Italia e la Commissione Europea dobbiamo prendere rapide decisioni, solo in questo modo ci saranno più spazi di manovra e si eviterà il peggio”.
GIORNALISMO
“Fare il giornalista oggi è molto rischioso – osserva – soprattutto dopo i casi di Parigi Copenhagen ma anche dopo l’assassinio dell’oppositore russo Boris Nemtsov, ucciso venerdì vicino al Cremlino in un momento in cui comunicare in quel Paese non è semplice”. Secondo l’ambasciatore il punto di partenza deve essere il dibattito che si è sviluppato negli ultimi mesi su che tipo di libertà vada difesa: quella di informarsi, di informare ma anche quella relativa alla sicurezza degli Stati e dei propri cittadini. E’ la ragione per cui, ricorda, dopo gli attacchi di Parigi il Presidente Barack Obama li definì “codardi”. I terroristi, spiega Phillips, hanno “usato l’arma del terrore e del sangue per silenziare voci e idee di persone e pensatori”. Il pensiero va “ai giornalisti scomparsi e uccisi in Siria, come James Foley e Steven Sotloff”, decapitati da militanti dell’Is davanti all’obiettivo di una telecamera mentre tentavano di raccontare la guerra in un Paese straniero.
TERRORE
Il terrore nasce dalla “consapevolezza dei militanti dell’Isis che le loro teorie ideologicamente estremistiche non potranno mai convincere cittadini ragionevoli e pacifici all’interno di un dialogo aperto”. Solo garantendo la “verità dei fatti e la possibilità per i cronisti di raccontarli riusciremo a rafforzare la nostra solidarietà e il nostro progresso democratico” aggiunge. Ma il tutto non potrà prescindere dalla sfida della “tolleranza che in Medio Oriente, Usa e Italia, devono vincere assieme”. Per giungere alla comprensione reciproca, secondo Phillips è imprescindibile studiare, approfondire “ma prima conoscere quei fatti che la stampa ci veicola, ed è la ragione per cui mi richiamo ai valori tanto cari al Presidente Aldo Moro, a cui questo ateneo è intitolato, e di cui ricorrerà a breve il trentasettesimo anniversario del rapimento”.
SOCIAL
In una società in continua evoluzione come pesare la libertà di parola anche alla luce dell’esigenza di maggior sicurezza degli Stati? E’ lo stimolo portato al dibattito dalla giornalista Linda Douglass, moglie dell’ambasciatore e già consulente della Casa Bianca, che punta il dito sui cambiamenti nella comunicazione dati dai social media e dai blogger. Se fino a “ieri editori e direttori potevano controllare articoli e commenti, oggi i blogger e gli utenti dei social non hanno limiti perché chiunque può esprimere un’opinione”. Una rivoluzone, certo, ma anche “l’occasione per i terroristi di scambiarsi informazioni, di fare proselistismo e addirittura reclutamento”. Negli Usa, racconta, si usano i social anche per attaccare le donne come il recente caso di un marito che ha scritto su Facebok come avrebbe voluto uccidere sua moglie. “Alla fine non l’ha uccisa ma la Corte Suprema ha deciso che in quel caso si trattava di tutelare la sua libertà di espressione”. E’chiaro quindi che “la libertà di parola vada tutelata ma in gioco c’è anche una grande fetta di responsabilità”, sottolinea Douglass.
RETE DEL TERRORE
La rete è utilizzata per rafforzare gli obiettivi del terrore, aggiunge l’ambasciatore, “lo dimostra il fatto che l’Isis, che acquisisce risorse con i proventi dei rapimenti, riesce ad attrarre cittadini disposti a lasciare le proprie case per combattere in Siria”. Il mondo non ha mai attraversato “una fase di questo tipo, anche perché proprio i social amplificano i messaggi di violenza dell’Isis”.
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