La strategia di difesa di Washington non prescinderà più dalla tutela del suo spazio cibernetico. La miriade di attacchi condotti in questi mesi ai danni di aziende e istituzioni statunitensi ha reso chiaro, anche ai non addetti ai lavori, che il web rappresenta uno dei terreni più significativi delle nuove guerre asimmetriche e come tale va protetto.
Il segretario alla Difesa americano in pectore, Ashton Carter, ha le idee chiare in merito e le ha illustrate rispondendo a un questionario della commissione Difesa del senato Usa. Un problema così complesso, ha spiegato, può essere affrontato solo con un approccio olistico, che utilizzi tutti i mezzi a disposizione del governo per scoraggiare e rispondere a queste minacce. Tra questi mezzi ci sarà certamente una nuova agenzia voluta dalla Casa Bianca – il Cyber threat intelligence integration center – nata con l’obiettivo di fondere le informazioni a disposizione degli apparati se ci si trovasse di fronte a una crisi.
Spesso, come nel caso Sony, Fbi, Nsa e Cia giungono tutte a conclusioni differenti. Il nuovo centro, invece, si comporterà come un polo centralizzato per condurre tutti a una soluzione unitaria.
Gli attacchi di hacker connessi con l’Iran a grandi banche, alcuni pirati russi che avevano cercato di colpire i pc della Casa Bianca e ancora l’aggressività della Cina (messa per la prima volta nero su bianco nella National security strategy presentata a Brookings da Susan Rice), hanno fatto aumentare l’allerta. E messo in luce quanto un colpo ben assestato potrebbe creare grossi problemi (e enormi perdite economiche) agli Stati Uniti.
Poche settimane fa, il capo dello Stato maggiore congiunto Usa, Martin Dempsey, ha definito con preoccupazione il cyber-spazio come un terreno in cui gli attori sono tutti sullo stesso piano e Washington non riesce a tradurre la sua superiorità tecnologico-militare così evidente nei settori classici della difesa.
Cosa fare, dunque? Aumentare le capacità di difesa informatiche si può, ha raccomandato il successore del dimissionario Chuck Hagel, a patto di non concentrarsi solo sul versante virtuale.
Questo obiettivo, “non può essere raggiunto solo attraverso il cyber-spazio, ma richiede uno sforzo multiforme della totalità degli strumenti in potere del governo degli Stati Uniti, incluse azioni economiche e di law enforcement”.
La concezione di cyber-spazio di Carter è quella di un terreno trasversale, che a differenza di quattro ambiti come terra, mare, aria e spazio, non ha confini definiti, ma abbraccia diversi settori strategici.
Gli schemi del passato non valgono più. Un attacco cibernetico può avere conseguenze devastanti anche nel mondo fisico (proviamo a pensare a cosa accadrebbe se pirati informatici si introducessero nel sistema finanziario o energetico).
Su questo tema, rispondendo alle sollecitazioni della Commissione, il futuro segretario della Difesa rimarca che gli Usa potrebbero interpretare come un “atto di guerra”, qualsiasi azione volta a comprometterne le operazioni militari, le infrastrutture critiche o l’economia, in modo non differente da quanto accadrebbe in un conflitto tradizionale.
“È la forza di un attacco – ha scritto – e non i mezzi con cui si conduce che contano di più”. Il principio più valido, per Carter, è quello di una “risposta proporzionata” all’attacco che si riceve e alle intenzioni dell’aggressore. Definire l’entità di questa risposta è tuttavia un compito non semplice, perché – come rilevano diversi osservatori – non si tratta solo di una questione tecnica, ma coinvolge aspetti fondamentali della politica e della strategia classica, come le relazioni tra Stati e la possibilità che si giunga a pericolose escalation di violenza.
Ne è consapevole Carter, che alla Commissione ha spiegato che “per affrontare le minacce cyber, destinate a crescere in futuro, è necessario un approccio che coinvolga tutti i livelli di governo”. Il campo è ancora pieno di insidie e in larga parte inesplorato. Tracciarne i confini sarà una delle sfide più grandi che la Casa Bianca e il Pentagono si troveranno di fronte negli anni a venire.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero di Airpress di febbraio 2015