L’attesa per le prossime elezioni regionali e municipali vive già una sorta di percezione da ultima spiaggia sia all’interno di quello che fu lo schieramento di centrodestra, sia in riferimento all’attuale schieramento di centrosinistra. Basti pensare a quel che concerne il complicatissimo rapporto tra Veneto e Campania per quanto riguarda lo schieramento che siamo stati abituati a chiamare di centrodestra (passato a sua volta da Polo del Buon Governo al Nord da un lato e Polo della Libertà al Sud, alla Casa delle Libertà, al Predellino e alle tre strategie odierne) e ai recentissimi casi di Milano e Agrigento per quel che concerne il centrosinistra, per capire le contraddizioni strategiche tra l’indicazione renziana della vocazione maggioritaria e le realtà nelle quali sembra prevalere una qualche cultura della coalizione, una volta a destra e l’altra a sinistra.
Sono queste le constatazioni di fatto che inducono a ritenere quanto sia difficile passare da un sistema elettorale sostanzialmente basato sul metodo proporzionale – fondato sulla cultura della coalizione – al modello della cosiddetta vocazione maggioritaria del partito, che sta a base dell’Italicum e che ha visto convergere – non casualmente – Renzi e Berlusconi da un lato mentre le culture della coalizione hanno finito con l’invocare un sistema capace di tenere insieme rappresentatività sociale e stabilità del governo senza compromettere in modo radicale né l’una né l’altra.
Appaiono pertanto queste le ragioni che fanno ritenere che il prossimo appuntamento elettorale regionale e municipale finirà con il costituire più una tappa del passaggio a una radicale cultura della vocazione maggioritaria che non un traguardo da ritenersi definitivo come sarebbe conseguenza dell’attuale definizione dell’Italicum. La difficoltà maggiore in un campo come nell’altro risiede pertanto proprio nel rapporto tra pluralismo sociale e stabilità di governo. Per quel che concerne in particolare quel che sta avvenendo nel vecchio e nel nuovo centrodestra, si può infatti rilevare – e non da oggi – che siamo in presenza di tre strategie per nulla coincidenti. Quella che fa capo a Forza Italia tende infatti a riproporre per così dire una sorta di centrodestra vecchio stile.
Quanto alla proposta della Lega di Salvini, va rilevato che non è fino a ora in alcun modo comprensibile come si possa contemporaneamente conciliare una sostanziale tentazione secessionista della Lega Nord con una visione nazional-populista che avvicina la Lega di Matteo Salvini più a Marine Le Pen che a Umberto Bossi. Per quel che concerne infine la trasformazione di Ncd in Area popolare con il vecchio Udc, non appare ancora oggi in alcun modo definito come si possano combinare l’origine sostanzialmente democristiana del Partito popolare europeo e dell’Udc da un lato, con la piena accettazione dell’evoluzione del Ppe in partito alleato sì anche con movimenti di destra europeista, ma sempre alternativo a qualunque tipo di pulsione anti europeista, come dimostrano anche i recentissimi casi francese e spagnolo, pur radicalmente dissimili fra di loro e in attesa di vedere quale sarà il punto finale di compromesso politico tra l’Unione europea – rappresentata prevalentemente ma non solo dalla Germania – e la Grecia di Tsipras.
L’intreccio tra riforme costituzionali e legge elettorale da un lato e prossime elezioni regionali e locali dall’altro, finisce pertanto con il conferire alle complesse decisioni politiche che saranno prese nel corso dei prossimi giorni in riferimento alle alleanze regionali e locali, sia a destra sia a sinistra, più le caratteristiche di una fondamentale tappa di passaggio dal proporzionale alla vocazione maggioritaria del singolo partito che non un traguardo di un cammino che si possa ritenere concluso.