Trentamila miliardi di dollari è l’equivalente del tesoro disseminato tra i paradisi fiscali di tutto il mondo, grande quanto un terzo dell’economia globale. O per essere più chiari, venti volte il Pil dell’Italia. Uno sterminato buco nero nella formazione del quale ci sarebbe la mano della nuova élite globale, in grado di sfuggire ad ogni controllo e allo stesso tempo di controllare tutto, dai singoli governi al destino di interi Stati. E capace di determinare l’andamento dell’intera economia mondiale.
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LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO
Nunzia Penelope (nella foto), giornalista del Diario del Lavoro e collaboratrice del Fatto Quotidiano e del Foglio, ha scritto un libro su questo argomento. S’intitola “Caccia al tesoro” (Ponte alle Grazie), ed è stato presentato ieri alla festa del libro di Roma “Libri Come” assieme allo scrittore e finanziere Guido Brera, al magistrato Paolo Ielo, all’ex ministro e presidente di Nens Vincenzo Visco, e al giornalista di Radio 1 Giorgio Zanchini.
PARTE INTEGRANTE DELL’ECONOMIA MONDIALE
I dati raccolti nel libro sono ricavati da fonti internazionali e riconosciute come il Fmi, la Banca Mondiale e l’Ocse. Questi proventi, cresciuti esponenzialmente con la crisi del 2007 dopo esserne stati a loro volta una delle cause, provengono da “riciclaggio, corruzione, criminalità, evasione fiscale”, come ha spiegato l’ex ministro Visco. I soggetti coinvolti sono speculatori e delinquenti, multinazionali e banche.“Questa enorme ricchezza rappresenta una struttura fondamentale del funzionamento dell’economia mondiale”, e non a caso “tutte le nostre banche hanno sedi in paradisi fiscali”.
ANCHE L’EUROPA HA I SUOI PARADISI
Spesso sono nazioni della stessa Europa a rappresentare dei territori fiscalmente accoglienti per chi vuole imboscare capitali: Olanda, Irlanda, Gran Bretagna, persino la Germania. Il Lussemburgo ad esempio “è pieno di banche e holding: ci sono più di 100 mila società collocate lì soltanto perché è più facile gestire i soldi e perché ci sono meno tasse”. Ma si parla anche di posti come le Isole Mauritius, “che è il primo investitore in India, grazie a soldi naturalmente riciclati”.
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L’ITALIA E IL FALSO IN BILANCIO
Nel libro viene spiegato anche come le grandi multinazionali riescono a non pagare le tasse. “In Italia tutto parte dal falso in bilancio: fondi neri, evasione fiscale…”, ha proseguito Visco. “Il secondo passo è il riciclaggio, o meglio l’auto-riciclaggio. Poi questi soldi vengono riutilizzati per altra corruzione, e da lì riparte il circolo. Se chi prende le mazzette è una società quotata in borsa, il reato è grave; se non lo è, il reato è meno grave, ma considerando l’immoralità non dovrebbe esserlo”.
IL BISOGNO DI REGOLE CHIARE
Il magistrato Paolo Ielo ha detto che “i proventi illegali di vario tipo viaggiano tutti assieme. Il fenomeno perciò o si governa il fenomeno interamente o non si governa”. Per quanto riguarda l’accordo di recente siglato con la Svizzera, che non sarà operativo prima del 2017: “Erano anni che li avvertivamo che stavamo arrivando. Quanti soldi pensiamo che siano rimasti lì? Io spero che qualcosa ci fosse ancora, ma non ne sono convinto”. Sulla frode fiscale: “parliamoci chiaro, la frode fiscale è una truffa del tutto volontaria e non può essere generata da errori, perché sono incompatibili con il reato stesso”. In Italia poi si “ha difficoltà a parlare di legalità perché alla fine il più ostile è proprio lo Stato: servono regole semplici e chiare, altrimenti non si comprende nulla e non si riesce a fare distinzione. Noi invece abbiamo i professionisti della complicazione e dell’eccezione: in mezzo ai quali c’è tutto il terreno della corruzione”.
GLI ARBITRAGGI E LA RISPOSTA GLOBALE
A intervenire è stato poi il finanziere Guido Brera, cofondatore del Gruppo Kairos, società di gestione patrimoniale. “Negli ultimi 15 anni di lavoro ho cercato di capire perché le differenze di ricchezza sono aumentate così tanto. E ho individuato principalmente tre tipi di arbitraggi: del costo del lavoro, a causa dei quali molti delocalizzano in Paesi come la Cina. Quello monetario, per il fatto che nei Paesi dove i tassi sono a zero si crea un effetto leva. E quello fiscale, per cui l’azienda sposta o le fabbriche o la proprietà intellettuale: lì ci sono i veri ricavi che non vengono tassati”. Per Brera “il disegno è stato far sopravvivere l’élite, annullando la classe media e generando nuovi poveri. Il grande male resta comunque il fatto che le norme sono scritte male, anche se le multinazionali hanno poi praticamente comprato i regolatori. È tutto il dispositivo che va smantellato. Gli Stati sono come pugili con le mani legate”. In più, “la filosofia dei tassi zero invoglia le società ad indebitarsi continuamente e la ricchezza si accumula soltanto da un lato. L’unico modo per aggredire questo sistema è attuare una politica globale: questa è un po’ la mia utopia”.
UN FENOMENO DIFFICILE DA SCONFIGGERE
Infine ha parlato l’autrice, Nunzia Penelope. “Dopo aver studiato a lungo – ha raccontato – ho scoperto che i documenti ufficiali sono molto più terrorizzanti di quelli segreti. È la stessa Banca d’Italia a dire che la prima esportatrice di capitali all’estero è proprio l’Italia. La realtà è che tutti portano i soldi all’estero, soltanto i poveracci li lasciano qua. E riportare questa situazione alla normalità non è per niente semplice: Kennedy nel ’62 fece un discorso al Congresso americano dove disse che si dovevano fare delle leggi per mettere fine al fenomeno. Un anno dopo è stato ucciso”.
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L’IPOTESI DI UN BILANCIO MONDIALE
“Parlando con diverse persone mi è stato detto che se si intervenisse una volta per tutte sicuramente ne deriverebbero dei contraccolpi, e quindi diventeremmo forse un po’ tutti più poveri, ma se non altro saremmo più giusti. Un altro mi ha detto che lotta ai capitali evasi è il nuovo marxismo, ma vediamo come anche quello in realtà non è che stia molto bene”. In chiusura della presentazione ha ripreso la parola l’ex ministro Visco, rivelando che “un modo per bloccare quest’evasione c’è ed è un bilancio consolidato mondiale. Nel ’97 proposi in Europa qualcosa di simile, ovvero un sistema unico dove definire il reddito, ma vent’anni dopo siamo ancora allo stesso punto. Quindi i modi ci sarebbero, ma la realtà è che serve la forza e la volontà per metterli in pratica”.