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Tutte le mosse diplomatiche di Papa Francesco in due anni di papato

L’avvento di Papa Francesco ha riportato sulla scena la gloriosa (e antica) diplomazia vaticana, messa in secondo piano nel corso del pontificato precedente. Fondamentale, in questo senso, il cambio in Segreteria di stato, con l’avvento di un diplomatico di carriera, mons. Pietro Parolin, al posto di un canonista come Tarcisio Bertone. Profilo più sfumato, sempre due passi dietro il Papa, Parolin ha dovuto affrontare dossier assai spinosi che la tragica quotidianità ha imposto all’ordine del giorno.

L’ANGELUS CONTRO LA GUERRA IN SIRIA

Tuttavia, il primo grande passo diplomatico di Francesco risale a pochi mesi prima l’entrata in carica di Parolin. Il 1° settembre del 2013, con i cacciabombardieri francesi e americani ormai prossimi ad attaccare la Siria di Bashar el Assad, il Papa teneva uno dei suoi discorsi più significativi: “Con tutta la mia forza, chiedo alle parti in conflitto di ascoltare la voce della propria coscienza, di non chiudersi nei propri interessi, ma di guardare all’altro come ad un fratello e di intraprendere con coraggio e con decisione la via dell’incontro e del negoziato, superando la cieca contrapposizione. Con altrettanta forza esorto anche la Comunità Internazionale a fare ogni sforzo per promuovere, senza ulteriore indugio, iniziative chiare per la pace in quella Nazione, basate sul dialogo e sul negoziato, per il bene dell’intera popolazione siriana”.

“NO ALLA CULTURA DELLO SCONTRO”

E ancora, “ripeto a voce alta: non è la cultura dello scontro, la cultura del conflitto quella che costruisce la convivenza nei popoli e tra i popoli, ma questa: la cultura dell’incontro, la cultura del dialogo; questa è l’unica strada per la pace. Il grido della pace si levi alto perché giunga al cuore di tutti e tutti depongano le armi e si lascino guidare dall’anelito di pace”. Per dar seguito alla mobilitazione, il Papa annunciò proprio in quell’Angelus che il sabato seguente, 7 settembre, si sarebbe tenuta una Veglia di preghiera (accompagnata da un digiuno) per scongiurare la guerra.

LA VEGLIA DI PREGHIERA IN PIAZZA SAN PIETRO

In quella occasione, Francesco aveva lanciò un monito durissimo: “In ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino. E anche oggi continuiamo questa storia di scontro tra i fratelli, anche oggi alziamo la mano contro chi è nostro fratello”. Il fatto è, aggiungeva Francesco, “che noi ci lasciamo guidare dagli idoli, dall’egoismo, dai nostri interessi”.

LA LETTERA A VLADIMIR PUTIN

Sempre nel settembre del 2013, Francesco scrisse una lunga lettera al presidente di turno del G20, Vladimir Putin, che in quei giorni si stava riunendo a San Pietroburgo. Nel testo, il Pontefice, auspicava che “i leader degli Stati del G20 non rimangano inerti di fronte ai drammi che vive già da troppo tempo la cara popolazione siriana e che rischiano di portare nuove sofferenze ad una regione tanto provata e bisognosa di pace. A tutti loro, e a ciascuno di loro, rivolgo un sentito appello perchè aiutino a trovare vie per superare le diverse contrapposizioni e abbandonino ogni vana pretesa di una soluzione militare”.

LA MEDIAZIONE TRA CUBA E STATI UNITI

L’ultimo successo internazionale della Santa Sede risale allo scorso dicembre, quando in mondovisione Barack Obama e Raul Castro annunciarono la fine dell’embargo americano e la ripresa (seppur a tappe) delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Entrambi i capi di stato riconobbero il ruolo decisivo di Francesco, il quale ha agevolato la svolta. Non a caso, poco dopo l’annuncio televisivo, la Segreteria di Stato pubblicò un documento in cui esprimeva “vivo compiacimento per la storica decisione”, ammettendo che “la Santa Sede, accogliendo in Vaticano, nello scorso mese di ottobre, le Delegazioni dei due Paesi, ha inteso offrire i suoi buoni offici per favorire un dialogo costruttivo su temi delicati, dal quale sono scaturite soluzioni soddisfacenti per entrambe le Parti”.

LA DELICATA QUESTIONE DEI RAPPORTI CON LA CINA

Uno dei capitoli più delicati riguarda le relazioni con la Cina, formalmente interrotte da decenni. I problemi sul tappeto sono tanti e complessi, il primo dei quali ha a che fare con la presenza di una chiesa patriottica opposta a quella fedele a Roma. Di mezzo c’è l’ordinazione dei vescovi senza il necessario e previo consenso del Vaticano. Qualcosa s’è mosso, negli ultimi tempi: dallo scambio di telegrammi tra Francesco e Xi Jinping, al permesso per l’aereo papale di sorvolare il territorio controllato di Pechino in occasione dei due viaggi asiatici del Papa. A premere per il negoziato c’è il cardinale Parolin, uno dei massimi conoscitori del dossier cinese in curia romana. Fu lui a lavorare all’intesa con il Vietnam e sempre lui ebbe un ruolo di primo piano nella stesura della Lettera ai cattolici cinesi promulgata nel 2007 da Benedetto XVI. Un lavoro complicato anche per l’opposizione al dialogo con il governo di Pechino di diversi esponenti della chiesa non patriottica, primo fra tutti il cardinale Joseph Zen, arcivescovo emerito di Hong Kong.

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