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Il vero errore di Berlusconi su Renzi

Si sprecano i consulti al capezzale del centrodestra formatosi attorno a Silvio Berlusconi nelle elezioni politiche del 1994. E si sprecano pure le ambizioni a ricostruirlo attorno a un nuovo leader, dando evidentemente per “politicamente defunto” il fondatore di Forza Italia, come annunciava o auspicava a fine febbraio in Piazza del Popolo, a Roma, uno striscione calato dal Pincio sul pubblico accorso, o trasportato, al comizio del segretario della Lega Matteo Salvini. Che ormai è tanto sicuro di sé, o delle debolezze altrui, da dichiararsi pronto a sfidare da solo tutto e tutti, anche a costo di spaccare per prima proprio la sua Lega, con quel che sta accadendo nel Veneto con la resistenza di un sindaco storico del Carroccio come quello di Verona: Flavio Tosi.

Il fatto è che bisognerebbe chiedersi se c’è ancora un capezzale attorno a cui promuovere e tenere consulti per valutare e decidere se e come salvare e rianimare il centrodestra. La situazione ormai prescinde dalla persona e dalla leadership politica di Berlusconi, e dalla sua volontà di resistenza. Egli resta sul piano umano, con tutto quello che continuano a ordirgli nei tribunali e succursali mediatiche, un uomo eccezionale: quello che è stato più volte, e giustamente, indicato per una ventina d’anni, con le sue vittorie, sconfitte, recuperi e rivincite, la riedizione del “Rieccolo” dato da Indro Montanelli ad Amintore Fanfani nei tempi d’oro della Dc.

E’ sempre più difficile, se non impossibile, parlare di un centrodestra, vecchio o nuovo o rigenerato che sia, quando la destra è impersonata dalla Lega, la ex “costola della sinistra” certificata una volta da Massimo D’Alema, e il centro è un territorio politico letteralmente terremotato da Matteo Renzi. Del quale tutto francamente si può dire e pensare, ma non che sia veramente di sinistra, o almeno della sinistra abituale d’Italia, viste le distanze sempre più incolmabili dalla sinistra, appunto, del suo partito. Che è tornata a fargli la guerra dopo essere stata, o essere apparsa vincente nella partita del Quirinale con l’elezione di Sergio Mattarella, preferito dal presidente del Consiglio e segretario del Pd ad un candidato condiviso con Berlusconi.

Più la sinistra interna di partito torna ad attaccarlo e a minacciarlo, tra gli applausi e gli incoraggiamenti della Cgil e delle sue appendici, più Renzi vola come un’aquila rapace sul territorio di centro della politica italiana, spingendo ai margini la tradizionale rappresentanza dei moderati. Di lui non a caso, e forse neppure a torto, Antonio Padellaro ha appena scritto sul Fatto come di chi “si spaccia di sinistra per meglio mettere in pratica la destra”.

Bisognava piuttosto scongiurare, da parte del centrodestra, o di quel che ne era rimasto, l’irruzione di Renzi. Bisognava evitare, in particolare, che all’ombra delle cosiddette larghe intese, praticamente imposte nella primavera del 2013 da Berlusconi al riluttante Pd di Pier Luigi Bersani, potesse maturare l’elezione di Renzi a segretario del suo partito, peraltro in tempi e modi tali da spianargli immediatamente anche la strada di Palazzo Chigi.

Purtroppo nell’autunno di quello stesso 2013 Berlusconi cadde nella provocazione dei suoi avversari, a cominciare dall’allora sindaco di Firenze ma già in corsa per la segreteria del Pd. Egli reagì troppo d’istinto alla trappola della decadenza da senatore, addirittura con il ricorso intimidatorio al voto palese, per via della sua condanna definitiva per frode fiscale. E con l’applicazione retroattiva di una legge così controversa da finire poi, per altri casi, all’esame della Corte Costituzionale.

Allora Berlusconi preferì l’orgoglio, per quanto comprensibile, all’astuzia. Tentò inutilmente una crisi sostanzialmente ritorsiva del governo di Enrico Letta. Che grazie alla spaccatura dei berlusconiani promossa da Angelino Alfano sopravvisse lo stesso, ma di poco, e in condizioni tanto precarie da non poter costituire o aiutare a costituire all’interno del Pd un argine alle scalate di Renzi.

Ciò che accade ora è semplicemente frutto di quel passaggio politico. Di cui Berlusconi, conoscendolo, si è forse reso onestamente consapevole, mentre molti che gli stanno intorno, e se ne dicono o considerano gli unici o autentici interpreti, continuano a non avere dubbi sul modo in cui fu gestito quell’autunno infausto.



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