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Inps, perché mi oppongo al prelievo sulle pensioni

Seconda parte di una missiva. Leggi qui la prima parte della lettera

I sottoscritti non hanno mancato di proporre ricorso giurisdizionale davanti alla Corte dei conti per l’accertamento del loro diritto a ricevere un trattamento pensionistico esente da tali decurtazioni, previa rimessione alla Corte costituzionale della questione di costituzionalità della norma citata.

Ebbene, la Corte dei conti – sezione giurisdizionale di Venezia – ha già rimesso la questione al giudice delle leggi, con recente ordinanza 16.2.2015, n. 12.
Altre sezioni giurisdizionali della Corte dei conti (Calabria, Lazio), su ricorsi analoghi a quello presentato dai sottoscritti, si sono pronunciate negli stessi termini, rimettendosi al giudizio della Corte costituzionale.

Si è dunque in attesa di un nuovo pronunciamento della Corte costituzionale che, coerentemente, non potrà che dichiarare incostituzionale la riproposizione di tali norme.
La Corte, infatti, ha già osservato che il maggior prelievo tributario sulla categoria dei pensionati, rispetto agli altri cittadini, avverrebbe relativamente ad un reddito che, in quanto consistente in una retribuzione differita, è ormai consolidato nel suo ammontare poiché “collegato a prestazioni lavorative rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta più possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro”.

D’altra parte, pur se la nuova norma dispone che le somme derivanti dalle trattenute restano acquisite alla gestione previdenziale anziché al bilancio dello Stato, resta la fiscalità del prelievo stante la natura tributaria degli strumenti attuativi dell’art. 38 Cost. in quanto diretti all’attuazione di quei doveri di solidarietà che non possono prescindere dall’art. 53 Cost.

In questa situazione di pendenza di giudizi sulla legittimità costituzionale di norme recanti la reintroduzione di decurtazioni al trattamento pensionistico in essere, si starebbe ora studiando di introdurre ulteriori meccanismi decurtativi (non a carattere eccezionale e transitorio, come le norme pregiudizievoli sopra citate, ma addirittura permanenti), aventi effetto su una sola categoria di soggetti, con relativo vulnus alla certezza del diritto, per lesione dell’affidamento all’intangibilità del trattamento pensionistico legittimamente acquisito quale principio connaturato allo Stato di diritto. L’irragionevolezza e l’iniquità di una tale proposta, sotto il profilo della certezza giuridica e della stabilità dei rapporti nella prospettiva dei diritti acquisiti, sembrano dunque evidenti.

Invero, le sentenze della Corte Costituzionale n° 30/2004; n°316/2010; n°223/2012; n° 116/2013 costituiscono altrettanti “semafori rossi” accesi dai Giudici della Consulta nei confronti del legislatore, che ha ripetutamente violato – in tema di pensioni – i principi di adeguatezza, di rispetto dei diritti quesiti, di ragionevolezza, di proporzionalità etc.
Ed è da notare come le pronunce anzidette riguardassero le questioni di “momentaneo” mancato adeguamento delle pensioni rispetto all’inflazione: questioni certamente meno gravi di una decurtazione permanente della pensione in godimento, qual è quella che ora sembra profilarsi.

Negli ultimi 9 anni (2008-2016) i pensionati italiani, con assegno oltre 5 volte il minimo INPS, hanno visto bloccati, in modo parziale o totale, i meccanismi di indicizzazione delle loro pensioni per ben 6 anni (66% dell’intero periodo), il che comporta una perdita cumulata e permanente del potere d’acquisto della pensione in godimento, per un valore del 15-20%, se si tiene conto anche del contributo di solidarietà. In altri termini, il principio solidaristico è già stato oltre misura applicato alla categoria.

(2/continua)



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