Nell’Italia spaventata dagli echi jihadisti che provengono da Tripoli, hanno avuto forse poco risalto le parole che il segretario della Difesa Usa, Ashton Carter (nella foto), ha rivolto l’11 marzo scorso alla commissione Affari esteri del Senato americano.
I PIANI DI CARTER
Il numero uno del Pentagono è stato ascoltato assieme al segretario di Stato, John Kerry, in merito alla richiesta di Barack Obama di poter usare la forza militare contro l’Isis. In quella sede, Carter ha evidenziato come la campagna di Washington contro i drappi neri, e i relativi bombardamenti, possano estendersi anche agli affiliati del gruppo terroristico in Paesi come la Libia e la Nigeria, dove imperversa Boko Haram, che ha di recente giurato fedeltà al califfo al-Baghdadi.
LE DIFFICOLTÀ DI OBAMA
Obama lanciò mesi fa la coalizione internazionale contro l’Isis senza l’autorizzazione formale del Congresso. E ora ottenere questo avallo sarà ancora più complesso, perché le due Camere sono entrambe controllate dai Repubblicani. Prima di intervenire in modo più incisivo, il presidente americano dovrà sciogliere in casa questo nodo politico. Finora, l’amministrazione Obama ha giustificato l’intervento contro lo Stato Islamico con l’Authorization for the Use of Military Force (abbreviato come Aumf), firmato da George W. Bush, dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001. Questa norma permette all’inquilino della Casa Bianca “l’uso di tutta la forza necessaria” contro chiunque sia sospettato di voler realizzare nuovi attacchi contro gli Usa. Per gli stessi democratici, tuttavia, l’autorizzazione è stata interpretata ormai in maniera troppo ampia per giustificare le azioni militari, che necessiterebbero di un passaggio parlamentare ad hoc.
Il momento, ha aggiunto Kerry durante l’audizione, è “cruciale” per sconfiggere il Califfato e con ciò contribuire alla pacificazione di alcuni territori allo sbando, come la Libia. Ecco perché Obama invoca la possibilità di avere i poteri necessari per estendere l’azione militare della coalizione anti-Isis, alla quale prende parte anche l’Italia.
LE PAROLE DI RENZI
Venerdì scorso, arrivato a Sharm el-Sheik per prendere parte al Forum economico egiziano, il premier italiano Matteo Renzi si è dichiarato disponibile ad impegnarsi militarmente nella lotta al terrorismo nel Paese nordafricano. “C’è condivisione ampia – aveva assicurato – sulla necessità di un intervento rilevante in Libia, da realizzare a partire dagli sforzi diplomatici dell’Onu“. Mentre il presidente del Consiglio incontrava il presidente al-Sisi, Roma ospitava invece proprio John Allen, inviato speciale del presidente degli Stati Uniti per la coalizione contro l’Isis. Nella sua missione, il generale americano ha visto riservatamente i ministri dell’Interno e della Difesa, Angelino Alfano e Roberta Pinotti, e ufficialmente il titolare degli Esteri, Paolo Gentiloni. Molto probabile, sottolineano alcuni osservatori, che in quell’occasione Allen abbia chiesto al governo italiano di definire in modo concreto l’entità del suo impegno contro il Califfato. L’Italia ha assicurato finora al gruppo internazionale il supporto di specialisti e addestratori, consegnato armi e rifornimenti ai kurdi e, più recentemente, inviato in Kuwait quattro Tornado, che si sono aggiunti a due droni Predator e al tanker da rifornimento KC-767. Resta da chiarire, invece, se Palazzo Chigi sia disponibile a fornire alla coalizione delle truppe, nell’eventualità che l’azione della coalizione venga estesa al territorio libico. Forse una risposta arriverà il prossimo 17 aprile, quando Renzi volerà a Washington per incontrare Obama. I due discuteranno appunto di Libia, Isis, ma anche della situazione in Ucraina e di temi economici.
IL PIANO MOGHERINI
Ieri è stata invece l’Unione europea a chiedere al capo della diplomazia di Bruxelles, Federica Mogherini, di preparare “il più presto possibile” delle proposte per l’invio di una missione in Libia, se venisse formato un governo di unità nazionale di cui si discute in un negoziato in corso a Rabat, in Marocco (tra i nomi in pole position per la guida dell’esecutivo, secondo indiscrezioni, quello dell’ex primo ministro Mustafà Abushagur). L’Ue, è la proposta dei ministri degli Esteri riunitisi eri nella capitale continentale, potrebbe inviare una missione militare o civili “di sostegno alle soluzioni adottate per il mantenimento della sicurezza, in stretta cooperazione con l’Onu, la Libia, gli alleati più importanti e i principali attori della regione“. La proposta finale della Ue, ha promesso Mogherini, sarà comunque portata “al più tardi” sul tavolo del Consiglio esteri del 20 aprile. Anche se indiscrezioni riportate da Reuters e rilanciate oggi dal Foglio intravedono nel piano allo studio dell’Alto rappresentante lo scetticismo dei colleghi europei. Il rischio che il Califfato possa usare una missione occidentale e propagandarla come una moderna crociata resta ancora molto alto, se questa non verrà concordata in modo adeguato con i principali attori arabi della regione.