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L’eredità del Liberalismo italiano: uomini e fatti

Per iniziativa di un coraggioso editore, Rubbettino, è stato recentemente completato il Dizionario del liberalismo italiano in due Tomi; il secondo di circa 1200 pagine contiene 404 biografie. E’ nell’essenza stessa del liberalismo la sua molteplice espressione e la raccolta è un esempio significativo di questo stato di cose.

Conviene quindi parlare di liberalismi o, come affermano i bravi curatori, ci troviamo di fronte a un vero “arcipelago liberale”. Ma anche gli arcipelaghi hanno confini, superati i quali il liberalismo perde significato. Faccio un solo esempio che ben conosco.

LIBERALI O BANDITI?

Tra i liberali è stato incluso il sardo Giuseppe Manno per il solo fatto che ha promosso la “legge delle chiudende” del 1820, ossia la privatizzazione dei latifondi; egli era tutt’altro che di idee liberali. Nel suo Paese d’ombre Giuseppe Dessì attribuisce a questa legge la nascita del banditismo in Sardegna perché consentì a chi aveva liquidità di impossessarsi delle terre di proprietà comunale, senza l’obbligo di metterle a frutto, ossia creare reddito e occupazione. Presto Cavour si accorse che chi aveva liquidità l’aveva investita interamente per recintare con muretti a secco per massimizzare la proprietà da acquisire, perdendo ogni risorsa per coltivarla, ammesso che ne avesse intenzione; perciò decise di creare una banca di credito agrario in Sardegna, progenitrice del Banco e del Credito Industriale Sardo.

Tuttavia i pastori che da generazioni usavano le terre comunali per allevare pecore e produrre così reddito per le loro famiglie vennero scacciati e chi si ribellò si rifugiò sulle montagne per praticare i sequestri dei ricchi. Un atto liberale come quello di combattere le rendite richiede d’essere collocato e calibrato nel contesto sociale, la qualcosa è sovente mancata nella storia d’Italia e oggi patiamo lo stesso difetto nella costruzione europea.

I CONFINI DEI LIBERALISMI

Quali sono quindi i confini dei liberalismi? Solo per semplicità parto dal “quadrilatero di John Locke”: egli sostiene che il liberalismo riconosce quattro diritti naturali: alla vita, alla libertà, alla proprietà e all’eguaglianza. Per Locke lo “Stato” è l’entità responsabile della tutela di questi diritti nell’ambito collettivo. Sui primi due diritti concordano, pur con sfumature, tutte le dottrine politiche, ad eccezione di quelle che legittimano le dittature. Sul terzo la disputa tra dottrine politiche si accende e sul quarto il conflitto con i socialismi è massimo, giungendo a rovesciare il legame tra interessi individuali e interessi collettivi a favore del secondo, trasformando lo Stato da garante delle libertà in domino delle stesse.

Il più esposto alla sfondamento delle frontiere del liberalismo è il quarto lato, quello dell’uguaglianza; esso ha rappresentato sul piano politico il fianco vulnerabile degli ideali del liberalismo, ma soprattutto delle sue espressioni politiche. Per analizzare il problema, mi colloco sul solco delle analisi di Benedetto Croce, Guido Calogero e John Rawls, finendo con Robert Nozick. Il problema di quale eguaglianza parlino i liberali investe quello del funzionamento della democrazia di massa dove il rovesciamento degli interessi individuali a favore di quelli collettivi è iscritta nella logica del meccanismo. Croce nel 1944 così si espresse: “i democratici sanno anche troppo bene che dalla democrazia non raccolta nel liberalismo sia facile arrivare alla tirannide dei dittatori acclamati e plebiscitari”.

IL PENSIERO DI CALOGERO

Nonostante si ritenesse di idee socialiste Calogero mostrò di ben comprendere questo pericolo e scrisse nel 1943: “Nella storia del pensiero e dell’attività politica … i liberali hanno … avvertito sempre più chiaramente che se volevano essere davvero liberali, dovevano spingersi sempre più anche sul terreno del socialismo; e i socialisti si sono sempre meglio venuti accorgendo che non avrebbero potuto realizzare i loro ideali se non in un’atmosfera di libertà, e attraverso le garanzie politiche delle libertà … La democrazia vera, la democrazia integrale, non è dunque né soltanto una democrazia liberale né soltanto una democrazia socialista, è piuttosto una democrazia liberalsocialista.”

Se fosse possibile sintetizzare concetti molto più articolati rispetto a queste due brevi citazioni si potrebbe dire che il socialismo è un circolo di idee che ruota attorno al perno liberale, ma anche che il liberalismo, almeno in politica, è un circolo che ruota attorno al perno socialista. Credo che una brillante spiegazione venga dal discorso di insediamento alla Presidenza della Repubblica di Sandro Pertini: “se mi offrissero la più avanzata riforma sociale in cambio delle libertà, io rifiuterei. La libertà non va mai barattata”.

CONTRATTO SOCIALE E PROTEZIONE DAI RISCHI

Il concetto si ritrova mezzo secolo dopo nella teoria di Rawls. Egli recupera l’idea di Rousseau del contratto sociale, nella versione meno idealistica di quella datane da Kant, avanzando una concezione di Stato prossima a quella socialista, ossia proteggere i cittadini dai rischi della vita (invero i socialisti usano il concetto di bisogno, che allarga il concetto di rischio), purché non si eliminino le libertà, che Rawls pone al primo posto dei due cardini del patto sociale. Nel 1971 egli così indicava i due pilastri del contratto sociale: “Primo: ogni persona ha eguale diritto al più esteso schema di eguali libertà fondamentali compatibilmente con un simile schema di libertà per gli altri. Secondo: le ineguaglianze sociali ed economiche devono essere combinate in modo di essere (a) ragionevolmente previste a vantaggio di ciascuno; (b) collegate a cariche e posizioni aperte a tutti [che oggi vengono chiamate “pari opportunità”]”.

Nonostante il riconoscimento della priorità che spetta alle libertà, Nozick, pur non essendo un filosofo politico si improvvisa tale e si scaglia contro Rawls accusandolo di non essere liberale perché assegna allo Stato il compito di regolare le ineguaglianze sociali, che sono invece frutto delle doti naturali dell’uomo e del mercato, purché concorrenziale, che vanno rispettate. Affidare ai politici che controllano lo Stato il compito di tutelare gli interessi della collettività è errato, perché, come ha lungamente sostenuto la Scuola di Public Choice di Buchanan e Tullock, essi perseguono interessi privati. Forse Nozick e la Scuola esagerano, ma certamente ci vanno vicini per il complesso dei politici, con qualche eccezione per alcuni leader.

COMPLETARE IL PENSIERO DI NOZICK

Nozick offre una formula per giudicare quale forma abbia la società o quale sia l’ideale di chi la vuole in un modo piuttosto che un altro. Egli propone di completare la frase “a ciascuno secondo il proprio/la propria…” per stabilire in che società si vive e di che cosa si parla in politica. I puntini possono essere così completati: “a ciascuno secondo il proprio bisogno” (e si è nell’area logica del socialismo); “secondo le proprie capacità o meriti” (e si è in quella del liberismo); “secondo la forza individuale o collettiva” (e si è nella dittatura); “secondo la propria preparazione intellettuale” (e si entra nell’area della aristocrazia culturale à la Platone); “secondo l’appartenenza familiare” (e si è nel dominio dell’aristocrazia), “secondo la propria ricchezza” (e si è nel capitalismo più ortodosso, dove l’accumulazione di capitale si colloca al vertice della scala dei valori sociali) e così via.

La formula di Nozick affascina. Se si tenta di verificare il peso di ogni soluzione per la società italiana e la convivenza europea si ha una risposta positiva per tutte: valgono a parole i bisogni, le capacità e il merito, la forza individuale e collettiva, la preparazione intellettuale, l’appartenenza familiare, la ricchezza, ma la realtà è diversa. Questo indurrebbe a sostenere che la società lascia spazio a tutte le istanze, è cioè multiculturale e democratica. Invece è solo il riflesso del caos che regna nei fini della società italiana e, soprattutto europea, perché l’esperienza storica insegna che molte di queste soluzioni sono in conflitto e si sovrastano l’una con l’altra. In passato i cittadini sapevano dove la politica li stava portando, oggi lo ignorano e, non sapendolo, hanno solo sospetti che li stiano imbrogliando. Da cui l’antipolitica. Sarebbe il caso che riflettessimo e ne parlassimo con più precisione.



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