Tutti noi conosciamo Mark Zuckerberg come l’enfant prodige della new economy. Ma negli ultimi tempi, il numero uno di Facebook ha dato dimostrazione di interessarsi a temi che vanno al di là del digital o della tecnologia strettamente intese, svelando un lato di sé decisamente più engagé a livello sociale e politico.
PIÙ POLITICA E MENO TECNICA
Ne ha dato un assaggio al Mobile World Congress di Barcellona durante il quale più che di “tech” ha parlato di “politics”. Motivo per cui è stato sonoramente criticato da stampa e opinione pubblica. Dalla libertà d’espressione all’accesso a internet nei Paesi sottosviluppati, dalla sicurezza per le donne al rapporto con i governi dei Paesi in cui Facebook è presente: sono stati questi i punti su cui il CEO del celebre social network si è soffermato, deludendo le aspettative di quanti speravano parlasse di video, di realtà aumentata o di ottimizzazione dei contenuti. «Noi vogliamo dare più voce possibile al maggior numero di persone possibile, in tutti i Paesi possibili – ha dichiarato Zuckerberg durante il suo keynote -. Il che vuol dire doversi adattare a uno spazio di manovra che non è infinito. Ciò vuol dire spingere quanto più possibile su quelle barriere che riteniamo di voler spostare o abbattere».
APPROCCIO EVIDENTE CON IL LANCIO DI “INTERNET.ORG”
Questo approccio molto più “politicizzato” di fare impresa era emerso già nel momento del lancio, avvenuto un anno e mezzo fa, della fondazione Internet.org, la task force targata Facebook che riunisce i produttori di telefoni cellulari (Nokia, Samsung), i fornitori di infrastrutture di rete (Qualcomm, MediaTek) e browser (Opera) di ONG, accademici ed esperti del settore, con l’intento di rendere disponibile l’accesso a internet ai 5 miliardi di persone che attualmente non ne possono usufruire. Un orientamento che si condensa nell’espressione «Tutti connessi, ovunque» e che si sta concretizzando nel nuovo obiettivo, annunciato qualche giorno fa proprio a Barcellona, di connettere altri 4 miliardi di persone, stavolta offrendo servizi online in collaborazione con gli operatori mobili.
L’EDITORIALE SULL’IMMIGRAZIONE APPARSO SU “WASHINGTON POST”
Ma le velleità politiche di Mr. Facebook sembrano essersi sedimentate nel tempo. In un editoriale apparso sul Washington Post e datato aprile 2013 Mark scriveva: «I miei bisnonni sono arrivati negli Stati Uniti passando per Ellis Island. Uno dei miei nonni era postino, l’altro poliziotto. I miei genitori erano medici. Io ho creato un’azienda. Niente di tutto questo sarebbe stato possibile senza una politica dell’immigrazione accogliente, un sistema scolastico di alto livello e la comunità scientifica che ha creato internet».
IL LANCIO DEL PROGETTO “FWD.US”
In quello stesso periodo, Zuckerberg ha lanciato il progetto FWD.us (forma contratta di “forward Us”, ossia “avanti Stati Uniti”), con cui è praticamente “sceso in campo”. L’obiettivo del piano è lavorare con tutti i partiti, l’amministrazione e le autorità locali per promuovere una riforma dell’immigrazione che, pur nel controllo dei confini e della sicurezza del paese, «renda più facile il percorso verso la cittadinanza e consenta di attirare i migliori talenti e i grandi lavoratori, non importa dove siano nati». La piattaforma di FWD.us si propone, dunque, di essere un punto di riferimento e di raccordo per il gruppo di lavoro che porterà avanti politiche per lo sviluppo del lavoro e per la crescita economica del Paese. Board in cui figurano, tra gli altri, personalità del calibro di Reid Hoffman (uno dei fondatori di LinkedIn), Eric Schmidt (presidente di Google) e Marissa Mayer (amministratrice delegata di Yahoo!).
«Lavoreremo con i membri del Congresso di ambedue i partiti, con l’amministrazione e con gli stati e le autorità locali – aveva spiegato ai tempi Zuckerberg -. Useremo strumenti online e offline per promuovere l’appoggio a cambiamenti politici». Questo perché «in una “economia della conoscenza” le persone di talento sono la risorsa principale: bisogna fare crescere e attrarre i migliori, perché saranno i leader di domani» aveva concluso, come se stesse chiudendo un comizio politico, quando con una frase ad effetto si spera di scatenare una standing ovation.