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Un parallelo impossibile a sinistra

Matteo Renzi e Bettino Craxi appartengono a ere politiche e a culture completamente di­verse. Mio padre era un leader della sinistra, figlio della storia del movimento operaio. Assunse le redini del governo in un’epoca dominata da grandi socialisti europei giunti al potere in un clima di rinnovamento de­mocratico che aveva posto fine a esperienze autoritarie. L’attuale premier è un leader di una democrazia a-ideologica e a-partitica, alla guida di un partito post-comunista e post-democristiano.

L’unico punto unifican­te è l’insofferenza verso il conformismo e le sovrastrutture che la politica e lo Stato frap­pongono all’azione dei governanti. Tuttavia l’ex-sindaco di Firenze interpreta in forma estensiva i poteri del presidente del Consi­glio, e distrugge i corpi intermedi aprendo fronti di lotta contro quattro capisaldi della società democratica: polizia, sindacato, Con­findustria e magistratura. Atteggiamento che Craxi non ha mai assunto, nonostante i numerosi avversari che aveva il Psi: la sini­stra comunista, la Dc, gli ambienti reaziona­ri del potere economico nazionale e interna­zionale, l’approccio guardingo della Chiesa cattolica. Mio padre non giunse alla guida del Psi grazie al “clan del circondario”.

Era a capo di una minoranza, in una formazione che nel 1976 scelse di valorizzare le giovani generazioni nel solco dell’orgoglio, dell’au­tonomia e del riscatto. E mai venne meno al rispetto verso la vecchia generazione di so­cialisti. Per questa ragione Bettino non esitò ad attorniarsi di intellettuali come Giuliano Amato, Giorgio Ruffolo e Luciano Pellicani. Il Psi di Craxi accompagnò la modernizza­zione dell’Italia promuovendo il pluralismo nel mondo delle comunicazioni e le esigenze della piccola e media industria.

Con Renzi as­sistiamo a una sorprendente ascesa al potere in una realtà nella quale crisi economica e istituzionale coincidono. È ovvio che il nu­mero uno del Nazareno alimenti aspettative in chi ha cavalcato per anni l’anti-politica o il populismo. Tramite l’assalto alle “caste” compiuto in nome della rottamazione, il premier mette in atto un ringiovanimento brutale fondato sulla sostituzione del vec­chio con il nuovo. A partire dal linguaggio. Figlio della rivoluzione telematica, Renzi rivela un lessico istintivo e corporeo. Negli incontri con il pubblico e con i giornalisti crea un’empatia spontanea, esprimendo una tendenza ad ammiccare e accontentare. Il premier è figlio della teatralità e spettacola­rizzazione della politica prodotta da Silvio Berlusconi.

Le conferenze di Craxi mantene­vano una cornice ideologica. L’ex segretario socialista, spiritoso e amabile nel privato, non lo appariva davanti ai riflettori. E con­servava un gergo austero e sacrale. Entrambi hanno promosso iniziative riformatrici nel lavoro e nella giustizia. Ma Bettino, ottenuto un clamoroso successo con le battaglie sulla Scala mobile e sulla responsabilità civile dei magistrati, non volle umiliare gli sconfitti.

Avendo a cuore l’unità sindacale, nel giugno 1986 si recò al Congresso della Cgil che gli tributò un plebiscito. E nel 1988 favorì l’ap­provazione della legge Vassalli non punitiva nei confronti dei giudici. Non è trasforman­do la magistratura in capro espiatorio che si può riscattare l’Italia. La nostra crisi non è endogena, ma si inquadra nello scenario occidentale. E in un’Europa burocratizzata a guida tedesca. Non conosco il pensiero di Renzi in politica internazionale. Egli intui­sce il valore strategico del Mediterraneo per l’Italia. Ma difetta dell’idea di esercitare un ruolo per lo sviluppo economico e la pace. E sul fronte mediorientale non ho faticato a capire da che parte stesse con il suo silenzio sull’offensiva militare di Israele verso Gaza. Atteggiamento che ne ostacolerà ogni inizia­tiva di mediazione.

Aver promosso l’ingresso del Pd nel Partito socialista europeo non è merito dell’ex primo cittadino di Firenze. Perché i post-comunisti, grazie all’azione svolta da mio padre nel 1991, erano già en­trati nella famiglia del Pse. Salvo uscirne con la creazione del Partito democratico. Renzi ha riconosciuto che non poteva vaticinare una generica “Internazionale democratica” in un continente nel quale l’area progressi­sta è marcata dall’impronta socialista. Tutta­via punta su una sinistra che lascia alle spal­le l’armamentario ideologico novecentesco. Ciò fa di lui un “rottamatore” del socialismo.

Non penso sia uomo di destra. Appartiene a una corrente cristiano-sociale che ha vissuto una grande stagione nella Dc di Amintore Fanfani. Fautrice del primo centro-sinistra, autonoma dalla gerarchia ecclesiastica ma conservatrice nel terreno etico, imbevuta del rapporto con lo Stato e avanzata sul piano sociale. Riguardo ai rapporti tra Stato e reli­gione, mentre Craxi promosse con coraggio la revisione del Concordato, Renzi non riesce a fornire un’indicazione precisa. È troppo co­sciente dei punti di vista eterogenei presenti nel Pd sulle libertà civili.

L’unica volta che Renzi ha avuto modo di esprimersi verso Craxi fu quando affermò che sarebbe sta­to “diseducativo” intitolargli una strada di Firenze. Una forma di auto-difesa: egli non vuole parlare del passato, ma riconosce inti­mamente la grandezza dei suoi protagonisti. Nel tagliare i rami secchi per far germogliare la pianta è necessario evitare di recidere le radici. Troppo slancio verso il nuovo rischia di trasformare il volo dell’Italia in quello di Icaro. È stata questa l’illusione degli anni Novanta, percorsi dalla presunzione di neu­tralizzare il sistema dei partiti per moder­nizzare il nostro Paese.

Soltanto negli anni Duemila abbiamo compreso che non erano la classe politica e i corpi intermedi il male della società italiana. Così oggi ci ritroviamo privi di grandi partiti mentre abbiamo per­duto la sovranità economica. Per rovesciare una deriva che produce rispo­ste plebiscitarie e crea movimenti populisti­nazionalisti, bisogna ricostruire una destra conservatrice e una sinistra genuina, che non equivale allo spazio geografico occupato dal Pd.

Perché la partecipazione democrati­ca non coincide con il voto alle primarie. È necessario riordinare le idee, capovolgendo l’agenda di Bruxelles imperniata su tagli e tasse. Confido di riavviare un confronto del­le idee nella sinistra italiana, e con Matteo Renzi. Non sminuendo il coraggio che ha ri­velato.

Bettino Craxi avrebbe avuto lo stesso atteggiamento: nessun pregiudizio, assoluta benevolenza verso una giovane generazione portatrice di vitalità, forte attenzione a evi­tare che un eccessivo entusiasmo acceleri processi di dissoluzione.



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