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Renzi, Alfano e la caccia del gatto al topo

Per quanto deciso, almeno per ora, a non dimettersi da ministro delle infrastrutture, Maurizio Lupi si è chiesto se “il gioco valga la candela” parlando del suo impegno politico e del rischio di perdere, a torto o a ragione, la reputazione sua e del figlio Luca.

Nessuno dei due risulta giudiziariamente indagato ma entrambi sono sottoposti a un duro processo mediatico, condito delle solite numerose intercettazioni, per i rapporti avuti con alti burocrati e imprenditori arrestati per l’accusa di corruzione e quant’altro nella esecuzione di grandi opere predisposte, finanziate o vigilate dal Ministero dei lavori pubblici e trasporti.

E’ un processo mediatico già sfociato nell’annuncio di mozioni parlamentari di sfiducia individuale che trasformano il ministro in un imputato politico. Del quale il presidente del Consiglio ha poca o per niente voglia di assumere la difesa, specie dopo che il rappresentante sindacale delle toghe lo ha imbarazzato rimproverandogli di dare “schiaffi” ai magistrati e “carezze” ai corrotti, veri o presunti che siano.

I dubbi attribuiti al capo del governo sull’opportunità politica di una resistenza di Lupi ripropongono il tema sempre controverso delle relazioni fra Matteo Renzi e il partito del ministro, il “Nuovo Centro Destra” guidato e fondato nell’autunno del 2013 dall’allora vice presidente del Consiglio Angelino Alfano dopo una clamorosa rottura con Silvio Berlusconi.

Nella nascita di quel partito l’allora premier Enrico Letta indicò una svolta “storica” per il Paese, e non solo per il suo governo, che riuscì così a sopravvivere alla decisione di Berlusconi di passare all’opposizione restringendo le “larghe intese” imposte dalle inconcludenti elezioni politiche di pochi mesi prima. Ma fu una sopravvivenza breve, nonostante gli entusiastici incoraggiamenti di un grande elettore e suggeritore della sinistra come Eugenio Scalfari, che definì il partito di Alfano “la Destra repubblicana”, con la maiuscola, contrapposta a quella minuscola, evidentemente meno repubblicana e di governo, dell’odiato Berlusconi, decaduto da senatore a causa di una condanna definitiva per frode fiscale.

A far cadere Enrico Letta, e a sostituirlo a Palazzo Chigi, dopo averlo comicamente esortato a “stare sereno”, fu il collega di partito e nuovo segretario Matteo Renzi. Che si dimostrò così poco convinto del carattere “storico” della rottura consumatasi nel centrodestra da declassare Alfano, da lui lasciato al Ministero dell’Interno ma non confermato come vice presidente del Consiglio.

Un’altra postazione di governo era stata già perduta dal partito alfaniano nella fase terminale del precedente governo per la solidarietà negata da Renzi alla ministra dell’Agricoltura Nunzia De Girolamo, contestata con una mozione grillina di sfiducia individuale per il clamore di un’inchiesta giudiziaria che pure non l’aveva ancora coinvolta nella sua Benevento.

Sotto certi aspetti, a rifletterci bene, Lupi rischia di rivivere l’esperienza della sua collega di partito De Girolamo, pur avendo o proprio per avere nel “Nuovo Centro Destra” un peso maggiore. Tanto maggiore da risultare a volte ingombrante per lo stesso Alfano, che difficilmente potrebbe però fare con Lupi come con l’allora ministra dell’Agricoltura, incoraggiata alle dimissioni, poi compensate con la carica di capogruppo alla Camera, piuttosto che rischiare la sfiducia dalla quale erano tentati molti parlamentari del Pd.

In fondo, sin dall’inizio quella fra Renzi e il partito di Alfano è assomigliata alla classica caccia del gatto al topo. Prima ancora di ridimensionarlo nella partecipazione al governo, il segretario del Pd aveva voluto restringerne il ruolo restituendo nel centrodestra, inteso come schieramento, una posizione di primissima fila politica a Berlusconi con il cosiddetto e famoso “Patto del Nazareno” sulle riforme istituzionali, e dintorni.

E’ vero che quel patto è recentemente naufragato con l’elezione non condivisa di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica, ma senza vantaggi per Alfano, come sta dimostrando la vicenda Lupi. In realtà, faccia e destini elettorali del Nuovo Centro Destra, diversamente da Enrico Letta, non stanno a cuore a Renzi, convinto di potersi giocare da solo il rapporto con l’area più moderata del Paese, lasciando quella meno moderata, e temuta, alla concorrenza fra l’altro Matteo, cioè il segretario leghista Salvini, e il Berlusconi del post-Nazareno rimbrottato persino dall’amico e ammiratore Giuliano Ferrara.

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