Skip to main content

Renzi, Lupi e Incalza. Ecco la genesi delle guerre di potere

Ancora uno scandalo negli appalti pubblici, ancora di mezzo un dirigente di lunghissimo corso, ancora una poltrona ministeriale che traballa. Giornali, talk show e dibattito parlamentare se ne occupano, come di prammatica.

E’ un’occasione ghiotta per un repulisti generale che accelera il ricambio della classe dirigente, politica ed amministrativa. Via i tuoi, ché arrivano i miei. Dalla lottizzazione alla rottamazione, passando per il pluralismo e lo spoil system, così la politica ha infeudato le istituzioni.

La guerra per il potere è un conflitto che ridisegna le frontiere tra i partiti, con la conquista delle istituzioni, e che miete sempre nuove vittime, con il ricambio della classe dirigente: scandali e sfascio ne sono i presupposti contingenti, il complemento delle elezioni.

Il ricambio della classe dirigente serve ad infeudare la PA

Non c’è più selezione nell’ambito delle carriere burocratiche, fatta eccezione per pochissimi ministeri come gli Esteri, la Difesa e gli Interni, ancora impermeabili alle immissioni dall’esterno. L’esercito ne sa qualcosa, avendo dovuto smantellare i Reggimenti operativi perché i loro colonnelli comandanti non venivano nominati, a differenza dei generali, dal Consiglio dei Ministri: c’era la paura del golpe, ma anche la voglia di metter mano alle gerarchie militari. Tutte le altre amministrazioni, compreso il Tesoro, sono preda di scorribande ed invasioni. Meglio non parlare delle istituzioni regionali, delle partecipate o della sanità pubblica: sono peggio del Balcani.

La guerra inizia nei primi anni Sessanta. Allora si doveva demolire il monopolio democristriano, spiaggiare la grande Balena bianca. Dalla necessità di imbarcare i socialisti al governo, la pratica degenerò nella lottizzazione partitica e correntizia. Fu bollata così, sistema intrinsecamente corruttivo, quando un altro cambiamento politico si fece pressante, quando si dovettetero abbandonare le maggioranze di centro sinistra per approdare ad equilibri più avanzati. La centralità del Parlamento fu il rimedio istituzionale alla conventio ad excludendum del PCI dall’area di governo: un assetto di potere che si prolungò ben oltre la breve stagione del compromesso storico. Il pluralismo germogliava: nella cogestione: era solo una lottizzazione ancor più allargata, ma culturalmente ben camuffata. Il decisionismo craxiano tramontò velocemente, travolto dalla crisi della prima Repubblica.

L’esperienza di Mani pulite fu traumatica, con il suicidio di tanti partiti storici. Ma ha lasciato un segno ancora indelebile nelle istituzioni: la paura di rimanere ancora invischiati nei processi portò alla depoliticizzazione dell’amministrazione, con la devoluzione di tutti i poteri amministrativi alla dirigenza.

La politica fece un passo indietro, ma solo per nascondersi meglio: con lo spoil system si garantisce la contiguità del vertici amministrativi rispetto all’indirizzo politico del vertice. Uno shadow power, ben mimetizzato dietro il dirigente di turno: assai fidato, è colui che si prenderà ogni responsabilità in caso di guai. Di certo, non gratuitamente. L’amministrazione è affettata in orizzontale: la bassa forza, che si deve occupare dell’erogazione dei servizi, è abbandonata a se stessa. In alto, invece, ci si occupa solo delle pratiche che stanno a cuore al vertice politico. Dura quel che dura, lo spazio di un mandato o due: l’importante è approvare almeno una riorganizzazione che consenta di piazzare altri fiduciari. E’ il consueto gioco al massacro che vivono le aziende private ad ogni passaggio di proprietà e ad ogni ristrutturazione dei debiti concordata con le banche. Nessuno pensa più a lavorare, ma ci si preoccupa della propria poltrona.

L’instabilità accresce il potere, quale che sia, vecchio o nuovo.

Tutto torna a puntino: non c’è solo la lottizzazione attraverso lo spoil system nella PA, appannaggio di chi vince le elezioni, perché la cogestione è rimasta viva e vegeta nella regolazione dei grandi interessi economici. Qui, maggioranza ed opposizioni vanno sempre insieme: a braccetto, controllano e si controllano. La creazione delle Autorità indipendenti mantiene la politica intera al tavolo del potere: i Commissari sono alter ego, alla pari dei burocrati che firmano tutto al posto dei ministri. Ognuno ha il suo riferimento d’area.

Il beato groviglio delle leggi “usa e getta” 

Mentre tutte le critiche si rivolgono alle leggi ad personam, che per risolvere una sola situazione si estendono a tutti, nessuno critica le norme usa e getta. Di volta in volta si scrive un articolo o un comma di legge per risolvere un singolo problema amministrativo. Ed è ben per questo che il ginepraio cresce: bisogna farsi fare una legge su misura. E’ così che la politica accresce il suo potere di intermediazione. Se tutto funzionasse, non ne avremmo bisogno.

Sulle riforme è guerra di potere

Anche il sistema istituzionale viene riformato in funzione delle esigenze della maggioranza di turno. E’ per questo che, nel 2001, si pose mano al Titolo V della Costituzione, con una riforma varata con appena un voto di maggioranza: il centrosinstra sapeva bene che avrebbe perso le elezioni e non poteva consentire che il futuro governo potesse fare e disfare a suo piacimento. Il guazzabuglio nella ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni avvelenò i pozzi istituzionali, determinando un assetto ingessato ed ingestibile. Seguì la stagione del federalismo municipale e fiscale: una maniera per aumentare le tasse scaricandone la responsabilità a migliaia di inavvertite amministrazioni locali.

Siamo ora alle prese con un paso doble. In contemporanea, riforme istituzionali e ricambio della classe dirigente, con la rottamazione del ceto politico e la lotta ai mandarini, i magistrati amministrativi e contabili incistati nei Gabinetti ministeriali e nelle Authority.

Anche stavolta, con le riforme istituzionali si guarda avanti, surfando sull’onda lunga del declino berlusconiano: si abolisce il Senato elettivo, prevedendo che non voterà più la fiducia al Governo. Serve a cavare d’imbarazzo un PD che oggi sta al governo con spezzoni di centro e di centrodestra, pur essendosi alleato con Sel alle elezioni. Il premio di maggioranza c’è alla Camera, ma non al Senato: essendo attribuito su base regionale, anche in futuro rimarrebbe un miraggio se non si presidiano a dovere Sicilia e Lombardia, le più popolose tra le regioni. Decine di modifiche alla Costituzione sono la cortina fumogena dietro cui si cela la deriva minoritaria. Il potere è questo.

La società incivile clona il cinismo del potere politico

E’ davvero insulso, quindi, il dibattito che di continuo si rianima sulla mancanza di senso civico degli italiani, sulla illegalità pervasiva, l’evasione fiscale di massa ed il familismo amorale che porta a chiedere raccomandazioni e favori anziché il rispetto delle leggi.

Gli italiani, la società incivile, sono la copia conforme del cinismo politico che deforma le istituzioni e l’ordinamento a proprio uso e consumo, che non rispetta niente e nessuno nel perseguire il suo particulare. Chiunque vada al potere non si limita ad occuparlo, magari ad esercitarlo fino all’abuso: ha come obiettivo lo stravolgimento delle regole per estenderlo e perpetuarlo.

Le istituzioni allo sfascio e la corruzione sistemica rappresentano le condizioni funzionali all’esercizio di un potere perennemente riformatore, indispensabili per giustificare lo stravolgimento continuo delle regole e la sostituzione sempre traumatica della classe dirigente.

La intossicante autodenigrazione è divenuta sport nazionale, contagia e coinvolge tutti: abbiamo imparato la lezione di Lenin, secondo cui “Ogni cuoco deve imparare a governare lo Stato”. Chiunque vada al potere, visto le condizioni, saprebbe far meglio. Sfascio e corruzione legittimano il ricambio del potere. Oportet ut scandala eveniant.


CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter