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Perché Renzi ha sbaciucchiato Putin

La visita di Renzi a Mosca ha raggiunto i risultati economici e di visibilità che ragionevolmente si proponeva. Il nostro presidente del Consiglio sapeva benissimo che l’Italia non è in condizioni di influire sulle decisioni russe sull’Ucraina né di convincere la Russia di darci una mano in Nord Africa per combattere la diffusione del radicalismo jihadista. Non può neppure attenuare ufficialmente le sanzioni e le contro-sanzioni fra Mosca e l’UE.

Certamente, l’incontro di Renzi con Putin è stato visto con fastidio dai principali paesi europei e dagli USA. Essi l’hanno però accettato senza commenti ufficiali. Forse perché si rendono conto che l’economia italiana è stata particolarmente danneggiata dai recenti eventi internazionali e dalle sanzioni decise da altri. L’Italia non si è adeguata a queste ultime per convinzione, ma per solidarietà atlantica ed europea. Con molti degli Stati che conoscono difficoltà interne o che sono stati sottoposti a sanzioni, il nostro Paese aveva interessanti rapporti commerciali con Russia, Libia, Siria, Iran e Iraq.

Il costo per l’Italia non è stato attenuato da nessuna compensazione economica, né dall’aumento di peso o di prestigio politico. Era necessario dire basta. La scusa che l’incontro a Mosca dovesse spianare la strada al sostegno della Russia al Consiglio di Sicurezza per l’eventuale risoluzione ONU d’intervento internazionale per por fine al caos libico, era solo una foglia di fico per mascherare i veri obiettivi della visita, che erano soprattutto commerciali e di segnalare ai nostri alleati di tenere conto degli interessi italiani.

L’Italia ha avuto una reazione meno preoccupata degli altri europei sulle iniziative russe in Ucraina. Il suo atteggiamento non è derivato solo dal suo ridotto interesse per la modifica degli assetti europei post-guerra fredda, ma soprattutto dalla realistica valutazione che, sostenendo Maiden, l’Occidente faceva un passo più lungo della gamba e si imbarcava in una via senza uscita. Mentre per la Russia l’Ucraina fa parte del suo spazio vitale di sicurezza, per tutti gli Stati occidentali, con l’eccezione di quelli europei centrorientali, ha solo un valore ridotto.

Per l’Ucraina Mosca, è disposta a combattere. La contiguità territoriale e la presenza di una forte minoranza filo-russa, la favoriscono. Combatterà anche se il conflitto dovesse prolungarsi ed estendersi territorialmente. Nessun occidentale è disponibile a morire per l’Ucraina. Nei confronti di Mosca l’Occidente deve re-imparare i concetti della geopolitica classica. E’ stato “politicamente corretto” dimenticarsene. Ha dominato la moda di attribuire ai principi e ai valori un’importanza maggiore di quella che in effetto hanno nelle relazioni internazionali. In essa continuano a dominare i rapporti di forza, la geografia e la storia. Una buona cura di realismo politico farebbe bene all’intero Occidente.

Nella crisi dei rapporti con la Russia e nella stessa visita di Renzi a Mosca è nuovamente tornato in evidenza un fatto che ha meravigliato molti europei e che, soprattutto in Italia, siamo portati a considerare una stranezza malgrado le visite di Matteo Salvini a Mosca e l’applauso di Marine Le Pen per l’annessione della Crimea alla Russia. Esso è stato brillantemente illustrato, nel marzo dello scorso anno, nell’articolo di Foreign Affairs “Putin’s Brain – Alexander Dugin and the philosophy Behind Putin’s Invasion of Crimea”. Vi si spiega come le teorie geopolitiche eurasiste, di cui Dugin è l’esponente di maggior spicco in Russia, abbiano influenzato la visione geopolitica di Putin.

L’eurasismo, contrapponendo la massa continentale alle potenze oceaniche (“pluto, giudaico, massoniche”, avrebbe detto Mussolini!) ha ispirato le ideologie delle destre europee, soprattutto quelle più populiste. Anche in Italia. La Società Editrice “Barbarossa” di Milano ha pubblicato vari scritti di Dugin, soprattutto da quando divenne animatore, ancora negli anni di Eltsin, del Centro di Geopolitica della Duma russa, e fu incaricato dal presidente di definire “un’idea di Russia”, che sostituisse non solo l’ideologia comunista, ma anche quella dell’impero, come la Russia era sempre stata.

Gli eurasisti considerano Pietro il Grande un traditore dell’anima russa, esaltano i governi di Vichy e la Repubblica Sociale Italiana, sostengono che nel mondo è in atto una lotta a morte fra le potenze anglosassoni (“moderna Cartagine”) e l’“eterna Roma”, centrata sulla Russia, che deve ormai trovare un accordo organico con la Germania. Non si tratta di elucubrazioni astratte. Esse influiscono sulle priorità di Putin, sul suo rifiuto di europeizzare la Russia, come ingenuamente molti avevano ritenuto possibile in Occidente, e sull’importanza attribuita dall’attuale padrone del Cremlino all’Unione Eurasiatica.

Il principale problema che Putin deve affrontare è che la crisi economico-finanziaria russa ha aumentato il divario già esistente fra le sue ambizioni e le risorse di cui dispone. La Russia non potrà più essere una superpotenza globale, ma solo regionale. La scuola eurasista ritiene che la Mosca possa aspirare a una nuova grandezza solo alleandosi agli Stati continentali europei, ma rimanendo se stessa, cioè non assimilandone la cultura etico-politica. Deve anche riprendere un’influenza nel Mediterraneo. Per la prima direzione, il paese determinante è la Germania.

La nuova Ostpolitik tedesca, malgrado le temporanee difficoltà che conosce per la crisi ucraina, corrisponde alle tradizionali tendenze del nazionalismo germanico da Tauroggen, a Rapallo e agli accordi Ribbentop-Molotov. Per la seconda, si assiste al ritorno della Flotta russa in Mediterraneo e agli accordi con l’Egitto, la Turchia e Cipro. Renzi ha invitare Mosca a intervenire in Libia. E’ una proposta che certamente farà storcere il naso sia a Washington che a Parigi. Beninteso, l’intervento sarebbe limitato a non porre il veto al Consiglio di Sicurezza e a sostenere politicamente e con aiuti militari gli unici due paesi che possano mettere ordine in Libia e con cui Mosca ha eccellenti rapporti: l’Egitto e l’Algeria. Entrambi sono preoccupati dal pericolo di contagio del caos libico.

Le loro preoccupazioni convergono con quelle dell’Italia, gravata dall’immigrazione clandestina dalle coste libiche e forse anche preoccupata dell’espansione nei paesi dell’Africa settentrionale dello Stato Islamico, che sembra divertirsi grandemente a minacciare l’Italia. I suoi messaggi sono amplificati dall’isterismo che domina parte dei media nazionali.

La visita di Renzi a Mosca ha tagliato un po’ d’erba sotto i piedi di Salvini: sostegno delle esportazioni agricole italiane e politica italiana più attiva per la stabilizzazione della Libia, unica premessa per il controllo dell’immigrazione clandestina, che tutti sanno che non si può fare neppure schierando l’intera flotta. Insomma, con il suo colloquio con Putin, visibilmente impressionato dalla sua “grinta”, Renzi ha preso due piccioni con una sola fava, unendo l’utile internazionale al dilettevole interno!


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