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Renzi e Putin, il nuovo Patto del Nazareno nasce a Mosca. Parla Carlo Panella

“Un Patto del Nazareno in versione continentale. Per cui Matteo Renzi gioca di sponda con un potenziale avversario per fare pressione sui propri alleati e imporre la sua linea”. Così lo scrittore e giornalista esperto di politica estera Carlo Panella, firma di Libero Quotidiano, tratteggia l’apertura del premier italiano nei confronti del governo di Vladimir Putin.

Legittimato a partner fondamentale del nostro Paese nel terreno economico e a interlocutore privilegiato per affrontare l’offensiva contro lo Stato islamico in Nord Africa e Medio Oriente. Formiche.net ha approfondito con Panella ragioni e scenari della strategia promossa da Palazzo Chigi in controtendenza rispetto agli alleati occidentali.

Rompendo l’ostracismo di Usa e Ue verso la Russia, Matteo Renzi favorisce le aspirazioni egemoniche di Mosca su una parte dell’Europa?

Non ritengo che Vladimir Putin porti avanti una politica egemonica. Realizza la normale strategia di potenza regionale tutelando gli interessi nazionali della Russia. Agevolato in tale iniziativa dagli errori demenziali compiuti dall’Europa.

Quali?

Le cancellerie del Vecchio Continente hanno appoggiato le giuste rivendicazioni del governo di Kiev senza rendersi conto di un fatto clamoroso. Il presidente ucraino Petro Poroshenko ha definito le spinte autonomistiche e secessionistiche dei territori orientali del Paese “manifestazioni di terrorismo”. Esclusa ogni trattativa per risolvere un problema politico, ha mandato l’esercito per schiacciare “gli eversori”. Salvo registrare la sconfitta sul campo e firmare a Minsk una resa vergognosa.

Vladimir Putin è indispensabile per neutralizzare il pericolo Isis in Libia e per combattere il fanatismo terrorista?

Sì. La sua posizione alle Nazioni Unite è vincolante. E il suo ruolo internazionale è necessario, vista la latitanza degli Stati Uniti nello scenario mondiale. È positiva la presenza attiva di una potenza regionale con interessi nel Mediterraneo, artefice di un tentativo di mediazione fra Turchia e Egitto.

La creazione di un fondo di investimento italo-russo pari a 1 miliardo di dollari è finalizzata ad archiviare le sanzioni economiche contro la Russia che hanno nuociuto alle imprese italiane?

No. Si tratta di un’operazione distinta. Certo, Mosca ha molti capitali da investire derivanti dalla vendita del suo patrimonio energetico. E l’intensificazione delle relazioni economiche tra i due paesi costituisce l’indicazione per una strategia di sviluppo comune. Sbloccare le sanzioni dissennate imposte da Usa e Ue alla Russia potrebbe liberare scambi commerciali con l’Italia pari a 2-3 miliardi annui.

Renzi ha fatto bene dunque a promuovere un’apertura in contro-tendenza con la linea adottata dai governi occidentali?

Certamente. Lo ha fatto per ragioni di realpolitik, più che legittima nel “vuoto pneumatico” lasciato dall’amministrazione di Barack Obama. Ricordo che il regime di Bashar Assad in Siria deve a Putin la propria sopravvivenza, e che la Russia gioca un ruolo fondamentale nel favorire lo sviluppo del programma nucleare dell’Iran. Il presidente russo è una figura ambigua, ma è meglio averlo come partner, alla luce degli errori europei e americani.

L’iniziativa del premier rappresenta una vittoria postuma della strategia filo-Putin perseguita dai governi di Silvio Berlusconi?

Rientra piuttosto in una vecchia tradizione italiana, risalente alla creazione delle fabbriche Fiat a Togliattigrad negli anni Sessanta. Il nostro Paese ha sempre coltivato una politica di appeasement verso la Russia. Al pari della Francia gollista. L’operazione saggia di Renzi ha spiazzato l’Ue, la Nato, i generali americani. E tutti i fautori della tendenza alla “guerra guerreggiata” contro Mosca.



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