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Tornano i ‘90? Si salvi chi può!

Ci si pone da più parti la domanda se stiamo tornando agli anni Novanta del Novecento per quanto riguarda le politiche economiche seguite in Italia e più in generale nell’uni­verso capitalistico.

A questa domanda non si può rispondere in forma affrettata. Proverò a farlo in guisa schematica. Gli anni Novanta furono quelli della new economy. Quindici anni di crescita dell’eco­nomia Usa (fatto mai accaduto nella storia mondiale) e inizio della trasformazione ra­dicale del capitalismo mondiale. Non ce ne siamo accorti per lunghi anni e ce ne stiamo accorgendo oggi nella crisi. La crisi mondiale in corso è nuova come nuovo è il capitalismo che da essa scaturirà. Lo shareholder value, la teoria dell’agenzia, Lmbo, le stock option, ecc., unitamente alla sovracapacità produttiva che per la prima volta nella storia mondiale si è diffusa in forme ineguali, nella crisi dei mercati interni, porta non solo l’Europa ma il mondo intero alla stagnazione secolare di forma deflazionistica.

Questo tardo capitalismo finanziarizzato ha incorporato in sé, negli ultimi trent’anni, molti dei principi cooperativi, ma li ha nel contempo trasformati in tecniche, in mani­polazione del lavoro e in tecniche di prolife­razione behavioristica delle organizzazioni così da contrastare la caduta del saggio di profitto industriale oscurata del resto dalla rendita finanziaria sempre più estesa. Il fu­turo del lavoro starà nella triade dell’intel­ligenza artificiale che trasformerà profon­damente la meccatronica, la convergenza tra produzione culturale e Itc e il risparmio energetico. Le privatizzazioni dispiegate furono consu­stanziali a quel processo, anzi, furono il ten­tativo di estendere il modello anglo-capitali­stico nella sua forma deteriore e profonda­mente mutata a tutto il mondo. Che cosa era mutato? Il managerial-capitalism era appunto divenuto owner capitalism e lo shareholder va­lue aveva distrutto ciò che distrugge ancora oggi, ossia l’impresa come creatrice di ric­chezza sociale.

L’Europa dell’euro è stata la superfetazione monetaristica e ordo-liberali­stica dell’owner capitalism unito alla volontà di potenza della riunificata nazione tedesca. Di qui la crisi e l’inizio della stagnazione se­colare deflazionistica. In questo contesto, dove la volontà di poten­za diventa predominante ma non è solo più quella tedesca, riprodurre le sciagurate poli­tiche di privatizzazione senza liberalizzazio­ne, pervase da conflitti di interesse tipici de­gli anni Novanta, non solo non soddisferebbe i maiali golosi e insaziabili dell’ordo-liberali­smus che mangiano debito pubblico, perché i ricavati sarebbero solo gocce nel truogolo. Riprodurre quel modello ci priverebbe delle risorse economiche indispensabili per crea­re quegli strumenti della volontà di poten­za atti a distruggere i nemici dell’occidente. Parlo del riaffiorare degli scismi settecente­schi dell’islam (che non hanno nulla a che vedere con gli interventi dei vari Bush e si­milia).

Oggi piuttosto che privatizzare si do­vrà tornare allo Stato imprenditore, formato tecnocraticamente e monocraticamente per liberarlo dalla spartizione dei partiti. Senza la distruzione dei miti liberisti, del truogolo ordo-liberalisti, non si può ricostruire la Nato e la volontà di potenza così necessaria nello sfondo dell’anabasi nordamericana. Pensate un po’ che grande differenza. Una cosa re­sterà uguale. Continueremo a non imparare nulla dalla storia e molto probabilmente tra anabasi, owner capitalism, ordo-liberalismo, l’occidente morirà. Decapitato.


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