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Tutte le ultime marette nel minuscolo (e storico) Pli

Nuova maretta ai vertici dello storico Partito liberale italiano (Pli). Dopo le dimissioni a sorpresa a ridosso delle scorse elezioni europee del presidente Paolo Guzzanti, poi candidatosi in Forza Italia, altri scossoni investono il minuscolo Pli.

Questa volta a subire i contraccolpi nel partito in cui da tempo ha un ruolo di peso lo storico dirigente del Pli, Stefano de Luca, già segretario e ora presidente, è il coordinatore nazionale Daniele Toto (nella foto in alto).

E’ stata infatti convocata per domani la direzione nazionale del partito che avrebbe all’ordine del giorno la convocazione del consiglio nazionale. Di fatto, secondo alcune indiscrezioni, in ballo c’è una mozione di sfiducia verso il coordinatore Toto (eletto nell’ultima legislatura nelle liste del finiano FLI) “reo” di aver nei mesi scorsi organizzato a Bologna un incontro politico di cui non erano a conoscenza gli altri vertici del partito. Liberissime diatribe tra liberali?

Sta di fatto che in queste ore Toto sta cercando di replicare alle accuse ancora non esplicitate con una sorta di promemoria inviata ad alcuni componenti il vertice del partito.

Ecco la bozza del documento a firma Toto che sta circolando nel Pli.

Le problematiche relative alla gestione del Partito si sono delineate già all’indomani del Congresso di ottobre: la decisione di far fare i congressi regionali, lungi dal dare stabilità all’organizzazione, hanno di fatto contribuito a chiudere al territorio, rendere inutili i tesseramenti e confermare una classe dirigente spesso inadeguata. Il segnale dato al territorio è stato devastante: legittimiamo i presenti pur se nulla è stato fatto. Si è, dunque, deciso di respingere chi fosse interessato ad entrare nel Partito contribuendo con idee ed energie nuove. Inoltre, la conferma di una classe dirigente a dir poco inadeguata ha mortificato il Partito tutto, rendendo vano lo sforzo di rinnovamento.

Questa analisi, evidente nel caso Campania, è stata combattuta con un’opera di mistificazione e calunnia personale per delegittimare con argomentazioni grevi e pesanti allusioni membri del Partito e persone che si volevano avvicinare allo stesso. In altri casi, Emilia Romagna, si è perseguito un indirizzo di totale chiusura senza particolari giustificazioni, chiudendo a gruppi organizzati sul territorio con una miopia assoluta ed in totale spregio delle indicazioni congressuali.

Le relazioni personali, sempre messe a disposizione del Partito, hanno portato a una centralità dello stesso sconosciuta negli ultimi tempi: al Congresso di ottobre si sono palesati, con saluti non di rito, il Pd e Forza Italia, con esponenti nazionali. Si è avvicinata la Lega, con concrete proposte di alleanza sul territorio (amministrative), basate su programmi e uomini. Abbiamo registrato l’interesse di forze nuove, Italia Unica, con la relazione diretta con il fondatore Passera.

Gli apicali dei partiti che si sono relazionati con noi lo hanno fatto con l’unica condizione di non avere rapporti con la precedente segreteria. Hanno creduto in un cambiamento dei vertici del Partito e lo ritengono condizione essenziale per qualunque dialogo.

Il lascito politico della precedente segretaria è negativo: siamo stati isolati dalle altre forze politiche; non abbiamo più avuto accesso ai media; non siamo stati capaci di strutturare organizzazione sul territorio; non abbiamo presentato le liste alle precedenti amministrative (2012) se non in pochissime (meno di dieci) realtà territoriali. Non abbiamo disponibilità economiche perché non siamo considerati progettuali e quindi il finanziamento privato si riduce a questua.

I dirigenti del Partito sono palesemente inadeguati: il coordinatore del Lazio organizza il Congresso regionale non dico in una sala da 500 posti, ma neanche in una saletta di un bar. Il congresso del Lazio (!) si svolge nella sede del Partito, dove quando si celebrano le riunione della Direzione Nazionale si sta stretti. Inoltre, in Direzione, si arroga il diritto di non presentare liste alle amministrative, ma di fare campagne di sensibilizzazione nazionale. Un casuale di (in)successo.

Attraverso sforzi personali si introduce nel Partito un parlamentare della Repubblica, insultato al Consiglio Nazionale, che invece di aderire ad un’organizzazione entra in un pollaio.

Il nostro Presidente, in palese contrasto con la carica che riveste, rappresenta un capo fazione più che un garante. Non esiste più neanche il merito di aver tenuto accesa la fiammella del Partito. Questa è spenta da tempo e non è rimasto che un involucro vuoto, non più rappresentante di un’ideale politico ma mera testimonianza di un passato che fu.

Daniele Toto



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