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Come uscire dal delinquenziale frullatore mediatico-giudiziario

Vedremo nelle prossime settimane quanto arrosto c’è sotto il fumo del caso Incalza, diventato rapidamente grazie all’abituale uso sapiente delle intercettazioni il caso Incalza-Lupi.

Peraltro in questo nostro mostruoso sistema mediatico-giudiziario la verità specie quella giudiziaria è assai evanescente: processo e pene sono normalmente inflitte prima e al di fuori dei tribunali.

Vi ricordate le tonnellate di parole spese nel 2009 sul terribile capo della Protezione civile, e protettore in realtà della cricca che dominava i lavori pubblici italiani? Com’è finito il processo contro questo “mostro”? Se non erro c’è stata una sentenza in primo grado con qualche non altissima condanna per gli imprenditori Diego e Daniele Anemone, l’ex provveditore alle opere pubbliche Angelo Balducci e qualcun altro nell’autunno del 2013. Poi ci sono stati altri sequestri, altri rinvii a giudizio per fatti minori, ma la cosiddetta verità giudiziaria latita per quel riguarda la vera vittima (e il vero obiettivo) di questa operazione, Guido Bertolaso diventato – come gli spiegò Ferruccio de Bortoli – “troppo popolare” e perciò da liquidare con un’accusa di “tentato massaggio” poi persa nei meandri tribunalizi e delle cronache giustizialiste.

Parallelamente non è male considerare come paiano evaporate le vicende – che forse meritavano un qualche maggiore approfondimento – di Antonello Montante, leader dell’antimafia imprenditoriale siciliana e confindustriale, forse impasticciato in giri cosanostreschi forse mascariato – cioè sfregiato via calunnia – per il suo impegno anticriminalità organizzata, sicuramente grande amico del presidente della Camera di commercio palermitana Roberto Helg beccato in flagrante con una tangente da 100 mila euro.

Sul merito della vicenda incalzesca resto dunque molto sulle mie, anche sulla base degli esiti (o più spesso non esiti) dei vari processi sui grandi scandali di questi ultimi anni: da quello Romeo alla crocefissione del povero Roberto Formigoni per tentata vacanza, alla provvidenziale (per Sergio Chiamparino, nel frattempo assolto dal circo mediatico-giudiziario per le accuse – o mascariamenti?- rivoltegli dall’ex patron del premio Grinzane Giuliano Soria) denuncia per tentata mutanda (verde) all’ex presidente piemontese Roberto Cota, dal primo processo Fastweb al naturalmente clamoroso processo Ruby. Mentre dunque mi sembra opportuno evitare “il merito del caso” mi pare invece che vi sia qualche spazio per tentare alcuni ragionamenti di sistema e qualche considerazione sulle dinamiche politiche in atto.

Per quel che riguarda il sistema è evidente come siamo di fronte alla crisi di uno Stato che già traballava prima del 1992 ma oggi è in via di grave disgregazione. Solo Giorgio Santilli sul Sole 24 ore può pensare che i problemi si risolvano ritornando alla legge Merloni: le leggi obiettivo studiate negli anni Duemila dai governi di centrodestra sono stati tentativi generosi per attivare in qualche modo un sistema di appalti bloccato, con limitati risultati e con alcuni danni collaterali. Ma è il sistema che non ha funzionato e nessuna legge può sopperire a questa difficoltà strutturale: non si riesce  a trovare un mix tra poteri tecnico-amministrativi (che dovrebbero essere separati dalla politica) e gli indirizzi di governo e parlamento, le regioni come enti di decentramento dello Stato sono andate in crisi provocandone una analoga delle province (abolite senza una riflessione sistemica) e persino dei comuni (vedi Genova, Milano, Venezia, Roma, Napoli e così via) che pure rappresentavano gli enti più legati ai cittadini. Parallelamente si è sbalestrato il sistema del credito che a un ordine seppur pietrificato (casse di risparmio, banche cooperative, banche di alta qualità e specializzazione) ha sostituito un disordine centrato su alcune grandi banche molto influenti politicamente (vedi anche il peso sui media) ma prive dell’antica sapienza: per quel che riguarda il settore dei lavori pubblici è emblematico per comprendere il dissestato potere bancocentrico –imperante ma senza più finezza- il caso Serravalle-area Falck-area Santa Giulia e amministrazione Penati della provincia di Milano.

Gli errori, le furbate, le corruttele sono figlie (talvolta quasi inevitabili) di un sistema ben rappresentato nell’altra sua faccia da un’anima candida come Giuliano Pisapia che dice “forse abbiamo sottovalutato la corruzione” ma in realtà sottolinea solo il suo terrore ad assumersi responsabilità: come è evidente innanzi tutto dai suoi quattro anni di mandato nei quali ha fatto più nulla che poco per risolvere le grandi questioni legate a un evento come Expo 2015.

Non elegantemente una persona, peraltro capace ed efficace, come Raffaele Cantone ha detto di preferire quasi, paradossalmente, i casalesi ai corrotti perché i primi almeno hanno una “logica collettiva”. Quasi di converso verrebbe da dire che sono meglio quelli che si espongono al rischio di corruzione degli ignavi (quelli a cui Dante non concede neppure l’inferno) alla Pisapia. I cittadini lombardi hanno sotto sotto la sensazione che dopo avere visto distruggere un ceto politico come quello socialista con uomini di altissima qualità tipo Carlo Tognoli (e di personalità simili si sente particolarmente la mancanza) oggi potrebbero pagare la scomparsa di un altro ceto politico che tra sanità, fluidificazione amministrativa, alcuni provvedimenti sul lavoro, alcune scelte urbanistiche (il piano per il territorio di Milano fatto da Carlo Masseroli resta un’eccellenza non superata) ha dato talvolta ottimi risultati: il personale politico cosiddetto di formazione ciellina.

Però al di là delle riflessioni puntuali, l’attenzione va rivolta al sistema, e in questo senso anche il ceto politico sbrigativamente definibile ciellino ha dimostrato una scarsa capacità di visione politica generale: prima ritagliandosi un ruolo dentro Forza Italia senza una esplicita missione, e entrando, poi, in due governi di semi-unità nazionale stravolti nella loro logica essenziale dall’espulsione di Silvio Berlusconi dal Senato, che hanno magari risolto alcuni problemi ma accompagnando di fatto una sempre più grave crisi sistemica grazie a un’idea di guida dall’alto della riforma dello stato nazionale priva di possibilità di successo.

Che Alexis Tsipras consideri Mario Draghi l’unico italiano con cui val la pena di parlare, che i belgi dopo gli indiani trattino i nostri connazionali – nel caso Antonio Gozzi – come persone senza uno Stato alle loro spalle, che Angela Merkel ci tratti come dei poveretti ora da sgridare ora da compatire con buffetto, che l’Unione ci scarichi addosso l’immigrazione nordafricana, che Barack Obama incontri prima l’ultima star di Youtube che Renzi mi paiono fatti difficili da negare. E questa è la faccia internazionale di una realtà che all’interno è rappresentata da uno Stato non in grado di funzionare regolarmente: capace di produrre qualcosa solo quando viene spinto a pedate dall’alto ora da Washington ora  da Bruxelles, ora da Francoforte, ora da tecnici come Cantone che non derivano al fondo il proprio potere dalle istituzioni della sovranità popolare/nazionale.

E solo in questo contesto che si possono comprendere a pieno anche le ultime vicende: il caso Montante appare in questa luce pure un regolamento di conti tra toghe che considerano troppo potenti i settori della magistratura (in effetti i migliori dal punto di vista della repressione di ‘ndrangeta e camorra) più collegati all’Fbi e  più influenti sul governo nazionale e sulle procure fondamentali. Il caso Firenze appare anche un attacco a una procura come quella milanese che voleva rimandare – con un certo senso di opportunità nazionale – l’esame delle vicende legate all’Expo a dopo ottobre. Ma corso di Porta Vittoria fiaccato dalle liti tra Alfredo Robledo ed Edmondo Bruti Liberati, dalla catastrofe del processo Ruby (da un simile insuccesso una come Ilda Boccassini non si riprenderà più come è avvenuto con Gian Carlo Caselli dopo i processi Andreotti) è diventata una preda ghiotta che si vuole strappare alla corrente che ha dominato nell’ultima fase (l’ala trattativista di magistratura democratica cioè i violantiani).

Non manca in tutta la partita la crescita – non a caso fiorentina – del nuovo potere dall’alto di cui è espressione Matteo Renzi che aspira a mettere le mani sull’intero mondo dei lavori pubblici anche per cercare di imprimervi la sua efficienza da piccolo clan (ma dagli ampi collegamenti soprattutto extranazionali)  che cerca di dare a tutto il sistema e, in questo contesto, pure per accrescere un “controllo” che appare sempre più vorace.

Non è chiaro che cosa (e se) si possa ancora trovare qualche rimedio politico alle sorti della nostra nazione: è evidente che in attesa di vere svolte servono anche scelte a metà come molte di quelle renziane (tipo abolire il bicameralismo ma senza definire un assetto chiaro dei rapporti esecutivo-legislativo, abolire le province ma senza spiegare come si programma il territorio, indebolire l’articolo 18 ma senza delineare un nuovo assetto per le relazioni industriali, difendere il bipolarismo tentando persino un bipartitismo ma grazie a un parlamento allo sbando composto in maggioranza da “eletti” che pensano solo a non perdere i propri emolumenti per i prossimi tre anni: il che finisce persino per farti convenire con Il Fatto quando denuncia come una simile situazione determini una devastante delegittimazione di quel che resta delle istituzioni) ma senza una prospettiva di vera riforma dello Stato fondata su un rapporto profondo con la società, non c’è orizzonte di salvezza. Questo “rapporto con  la società” peraltro non è affatto semplice:  in certe esasperate analisi renziste o filorenziste viene considerato essenzialmente come una difesa corporativa dei corpi intermedi di una nazione che invece dovrebbe essere contemporaneisticamente guidata ora da un’app ora da un tweet. In realtà è evidente che in una terra così ricca di storia come la nostra, l’idea di un completo “reset” politico-istituzionale dall’alto possa essere sostenuta –al di là della propaganda dei protagonisti in sé- solo da anime molto semplici o da personalità così annoiate da dedicarsi esclusivamente a provocazioni dadaiste.

Studiamo quindi pure qualche soluzione di emergenza ma se non si delineeranno tendenze orientate a scelte di lunga durata radicate nella società, il governo dall’alto dell’Italia che ci caratterizza sistematicamente dal novembre 2011 non potrà che incrementare la dissoluzione della nostra sovranità popolare/nazionale in atto. Magari, in tal caso, gli appalti non saranno più esposti a corruzioni di matrice italiana anche perché saranno gestiti solo da soggetti stranieri: come spiega il libro Gomorra quando descrive il porto di Napoli estraneo alla camorra perché terreno del dominio dei cinesi e delle loro onestissime triadi.


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