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Air gun, tutte le schizofrenie

Vista da fuori confine, la vicenda tutta italica del ddl ecoreati “genera stupore e perplessità”. Soprattutto se si pensa come la tecnica dell’air gun che qualche parlamentare intende vietare prevedendo da uno a tre anni di carcere per chi la utilizza, in realtà sia “una pratica diffusa in tutto il mondo, a partire da Paesi molto più sensibili del nostro dal punto di vista ambientale”. Chi parla in questa conversazione con Formiche.net è Daniele Rossi, 54 anni, avvocato e manager con esperienza nel settore energetico e dell’oil&gas. Già ad di Saipem Energy Services spa e presidente di Eni Finance Usa Inc., oggi Rossi è chief executive officer di GSP Offshore SA, società con tremila dipendenti che fornisce servizi di perforazione offshore, costruzione e installazione di piattaforme petrolifere.

L’ITER PARLAMENTARE DEL DDL ECOREATI

Negli ultimi giorni si è aperto qualche spiraglio per una retromarcia del Parlamento sul reato di air gun, tecnica di esplorazione dei fondali sottomarini tramite “spari” ad aria compressa fondamentale per scoprire l’esistenza di giacimenti di idrocarburi. Dopo l’emendamento approvato al Senato che ne vieta l’utilizzo, decisione che ha sollevato le proteste del comparto, oggi in Commissione Giustizia alla Camera inizia la votazione sul ddl. Tuttavia, il premier Matteo Renzi ha già detto chiaramente che così com’è il disegno di legge non può essere approvato, in quanto impedisce proprio l’air gun; e questo con buona pace dell’ecodem Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente alla Camera.

COME CI VEDONO DALL’ESTERO

Dal suo osservatorio, Daniele Rossi dice di aver raccolto “grande stupore e grande perplessità per questo atteggiamento, proprio in un momento in cui l’Italia parla di rilancio e di tentativi di ripresa anche in un settore cruciale per l’economia come quello energetico”. Dall’estero si percepisce quindi “una diffusa incertezza nei confronti del nostro Paese, la mancanza di una linea strategica precisa, di un indirizzo certo e affidabile”. Rossi ricorda come “tutti sappiano quanto il Mare Adriatico sia una riserva immensa di idrocarburi, compresa la Croazia che ha lanciato una grande campagna di esplorazione assegnando già le prime licenze e venendo così vista come un Paese più affidabile e dove è più conveniente investire”.

IL CASO EMBLEMATICO DELL’AIR GUN

Quando accaduto sull’air gun è la cartina di tornasole di questo atteggiamento schizofrenico e confuso prettamente italiano. “Non possiamo dimenticarci – continua Rossi – che il Parlamento ha approvato non troppo tempo fa il Piano energetico che dà le linee guida della politica del Paese per lo sviluppo delle risorse naturali e per la ricerca e lo sfruttamento di idrocarburi. Fatto questo, adesso lo stesso Parlamento inserisce un ostacolo insormontabile per la realizzazione di quel piano come il divieto di air gun”.

UN EMENDAMENTO CHE VALE DECINE DI MILIARDI

Una tale modalità d’azione secondo Rossi è “sintomatica di un Paese pasticcione, inefficiente e fuori dal controllo”. Inoltre, non c’è nemmeno una reale consapevolezza dei danni che si possono arrecare. “Questo emendamento sull’air gun, del quale probabilmente non si coglie il reale significato economico, vale un paio di decine di miliardi di euro” spiega Rossi. In sostanza, “se confermato alla Camera, costerà al Paese come una manovra finanziaria”.

VIETIAMOLO ANCHE IN CROAZIA

Se davvero gli ambientalisti e i parlamentari italiani ritengono che l’air gun sia una pratica così pericolosa, ragiona Rossi, allora sarebbe da vietare anche in Croazia, visto che si trova a poche miglia dalle nostre coste. “Se impediamo alle compagnie petrolifere che operano sule acque italiane dell’Adriatico di fare le esplorazioni nei fondali marini, i croati continueranno ugualmente a farle, hanno già venduto le licenze – fa notare Rossi -. L’Adriatico è un mare troppo piccolo per pensare che utilizzare la tecnica di air gun in acque croate o in acque italiane faccia differenza. Se mai ci fossero rischi o danni, sarebbero assolutamente i medesimi”. Dunque, “ha ragione Romano Prodi, se siamo davvero sicuri che questa tecnica sia dannosa per la fauna marina, dovremmo rivolgerci subito all’Onu affinché blocchi in tutto il mondo, ma soprattutto in Croazia, l’utilizzo dell’air gun”.


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