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Banche di credito cooperativo, tutti i buoni motivi degli istituti popolari

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Pubblichiamo il testo dell’introduzione che don Massimo Naro farà oggi a un convegno a San Cataldo – realizzato dalla Bcc locale e dal Centro studi sulla cooperazione A. Cammarata – sul tema della riforma della governance degli istituti di credito di matrice cooperativistica. Interverranno tra gli altri il professor Giovanni Ferri, ordinario di economia alla Lumsa di Roma e pro-rettore della stessa università, primo firmatario (assieme a Leonardo Becchetti) di un “appello” al governo in difesa del credito cooperativo condiviso da 160 economisti italiani, e Marco Vitale, economista d’impresa e già presidente del Fondo Italiano d’Investimento

Buona sera e benvenuti a tutti: grazie per aver accettato l’invito della Bcc G. Toniolo di San Cataldo e del Centro Studi sulla Cooperazione A. Cammarata a partecipare a questo nostro incontro di studio sull’importante e delicato tema della riforma della governance degli istituti di credito di matrice cooperativistica.

Il nostro convegno prende spunto da una frase pronunciata da Papa Francesco nel suo discorso al raduno di Confcooperative tenutosi a Roma il 28 febbraio scorso: «Uno più uno fa tre». Con queste parole il Pontefice ha voluto dire che la cooperazione ha un valore aggiunto, che consiste nei vincoli di solidarietà che essa produce in seno alla società, nella trama relazionale delle attività economiche e nel vissuto lavorativo della nostra gente. Così Papa Francesco spiegava, il 28 febbraio scorso, questa sua intuizione: «Le cooperative sfidano tutto, sfidano anche la matematica, perché in cooperativa uno più uno fa tre! Continuate a perfezionare, a rafforzare e ad aggiornare le buone e solide realtà che avete costruito. Però abbiate anche il coraggio di uscire da esse, carichi di esperienza e di buoni metodi, per portare la cooperazione sulle nuove frontiere del cambiamento, fino alle periferie esistenziali dove la speranza ha bisogno di emergere. Tanto avete fatto, e ancora tanto c’è da fare! Andiamo avanti!».

C’è già, in queste parole, la logica che attraversa e sostiene anche il nostro incontro di studio, dedicato a una particolare dimensione della vasta e complessa esperienza cooperativistica cui Papa Francesco si riferiva: la cooperazione di credito, ossia l’universo bancario rappresentato dalle Bcc italiane, che sino ad oggi, per più di un secolo, sono state espressione dell’impegno socio-economico profuso in Italia dal movimento cattolico, già a partire dagli ultimi anni dell’Ottocento, allorché – nel 1891 – fu promulgata l’enciclica Rerum novarum di Papa Leone XIII. Questo “cosmo bancario” ha subito già, durante la sua ormai lunga storia, diverse metamorfosi e continui riassetti interni (il più importante cambiamento, sinora, è stato il rimodulamento delle antiche Casse rurali e artigiane nelle odierne Bcc). Ma non ha mai corrotto l’ispirazione cooperativistica da cui esso è sortito e non ha mai perso di vista le finalità mutualistiche per cui esso è stato concepito e realizzato, come pure ha sempre salvaguardato la sua struttura plurale e relazionale. Del resto la forma non è meno importante della sostanza e le Bcc rappresentano, sotto questo punto di vista, un efficace modello di stretta complicazione tra forma e sostanza (la forma è sostanza… lo stile non è acqua… ha, cioè, una sua consistenza…).

Il 20 gennaio scorso, però, il Consiglio dei ministri ha approvato, con un decreto legge, un progetto di riforma strutturale delle maggiori Banche popolari italiane (precisamente le 10 Banche popolari più grandi d’Italia, quelle che raggiungono gli 8 miliardi di attivi), anch’esse partecipi dell’ispirazione e della storia cooperativistica sviluppatasi nel solco del movimento cattolico a partire dalla Rerum novarum (si pensi che la Cassa San Giacomo, fondata da don Luigi Sturzo a Caltagirone nel 1896, fu proprio una banca popolare). Queste banche avranno 18 mesi di tempo per trasformarsi in Spa, abbandonando il loro attuale assetto giuridico e societario di impronta cooperativa. Questa riforma sancirà il surclassamento di alcuni criteri costitutivi del credito cooperativo (per esempio la territorialità e la non-importanza delle dimensioni di ogni singolo istituto di credito) e comporterà il superamento del principio del voto capitario (una testa, un voto). In altri termini, queste banche saranno costrette a rinunciare al loro profilo “capitario” (ogni socio esprime il proprio voto in assemblea, al pari degli altri soci) e verranno indotte a diventare delle vere e proprie Spa in cui l’indirizzo finanziario potrà essere deciso principalmente da chi riuscirà a detenere e a controllare la maggior quota azionaria. I ministri coinvolti nella redazione di questo decreto, specialmente il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, nei loro interventi pubblici successivi al 20 gennaio, hanno fatto intendere che la riforma del sistema bancario cooperativo non potrà consistere solo in ciò che è previsto dal decreto già varato dal Governo e peraltro già approvato in Parlamento: la riforma dovrà diventare realtà, magari in forza di adattamenti vari, anche per gli altri istituti di credito a impianto cooperativo. L’allusione al mondo delle Bcc non è, in queste sottolineature, neppure tanto velata. Del resto, il mondo delle Bcc non solo condivide la medesima ispirazione ideale delle Popolari, e le medesime radici storiche, ma anche – talvolta – le stesse debolezze contingenti (per esempio, in non pochi casi, la dimensione troppo esigua e la derivante vulnerabilità delle banche più piccole come pure la conseguente densità dei rischi di credito) e condividono – forse – persino le stesse tentazioni (per esempio la tentazione di ingigantirsi a tal punto da quotarsi in borsa).

Se anche le Bcc dovessero diventare destinatarie di un decreto simile a quello del 20 gennaio scorso, se anche esse cioè si dovessero vedere costrette a mutare i loro connotati fondamentali, a cominciare dalla governance, anche per esse si prospetterebbe una radicale trasformazione: anch’esse cioè si vedrebbero costrette a rinunciare alla loro tradizionale logica capitaria e a ristrutturarsi in forze di una nuova logica capitalistica. Difatti la logica capitaria, che attualmente motiva la governance delle Bcc (lo ripeto: ogni socio, ogni azionista, ha un voto in assemblea, al pari di tutti gli altri soci, a prescindere dal numero di azioni possedute), è una logica che assicura una spiccata attitudine democratica e una marcata sensibilità mutualistica allo strutturarsi e all’operare delle Bcc stesse: detta in termini più immediati, significa che le banche cooperative sono banche “relazionali”, espressione di un «amore intelligente» e di una «previdente e giusta convenienza» comune – come ha scritto Papa Benedetto XVI al n. 65 dell’enciclica Caritas in veritate – banche, insomma, fondate sul rapporto tra le persone e le loro idee e i loro bisogni, prima ancora che sul peso dei loro portafogli; e significa che le banche cooperative si propongono innanzitutto di operare effettivamente il credito, servendo così le famiglie e le piccole e medie imprese, più che mirare a intestarsi azzardate benché redditizie operazioni finanziarie.

Il professor Marco Onado, esperto di diritto bancario, sul Sole 24 Ore del 21 gennaio scorso, all’indomani dunque della pubblicazione del decreto governativo sulle Popolari, ha scritto che le Popolari «pagano l’incapacità di riformarsi». È l’errore che le Bcc dovrebbero a loro volta sforzarsi di non fare, promuovendo – finché sono in tempo – un progetto di auto-riforma efficace, capace cioè di conseguire alcuni degli obiettivi “aggiornati” prospettati dal governo Renzi, ma in termini e secondo modalità compatibili e, anzi, coerenti «con il mantenimento delle caratteristiche mutualistiche tipiche del modello cooperativo», come ha incoraggiato a fare, nei giorni scorsi, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. Ed è l’unica maniera per difendere la persistenza del pluralismo bancario in Italia, per mantenere la cosiddetta “biodiversità” nel mondo creditizio del nostro Paese, per sottrarci alla potenza omologatrice del pensiero unico: non tanto per assecondare un qualche istinto di sopravvivenza, quanto piuttosto per continuare a dare un contributo effettivo alla vita del nostro Paese e degli italiani, specialmente in congiunture di crisi economica come quella che stiamo attraversando in questi anni (un sistema bancario alternativo a quello “capitalistico”, con una reale vocazione creditizia e resistente alle tentazioni finanziarie, può difatti fungere da seconda gamba o almeno da stampella qualora il “primo” sistema, quello più diffuso, quello egemone, dovesse collassare, come è avvenuto recentemente in Paesi come Cipro).

Per dirla con una frase azzeccata del dottor Gatti, occorrerà – in questo senso – «cambiare senza tradire»: «Migliorare senza perdere l’identità. Mettere in sicurezza il patrimonio complessivo senza snaturarsi. Diventare conformi a regole scritte prevalentemente per altri senza scivolare verso le logiche di quegli altri» (in Credito cooperativo di gennaio 2015). Con lo stesso registro Alessandro Azzi, presidente di Federcasse, si è rivolto lo scorso 28 febbraio a papa Francesco, prospettando l’impegno per un «cambiamento leale, che non “tradisca” ma “traduca” nel presente le radici» del credito cooperativo. Per dirla con un’immagine che traggo dal Diario di Soren Kierkeegard, occorre fare come i rematori di canotto, che vogano senza fermarsi, puntando alla meta, al futuro potremmo dire, spesso andando contro corrente e senza smettere di guardare indietro, non per crogiolarsi nella nostalgia del passato ma per non perdere di vista il punto da cui si è partiti, l’ombelico da cui si è stati generati, le radici da cui si è alimentati…

Per agire alacremente in questa direzione, è necessario prima fermarsi a pensare bene le mosse da fare. Il nostro convegno intende dare un contributo in questa prospettiva. Chiediamo aiuto, in questa fatica, ai quattro relatori che hanno accettato di affrontare il viaggio per raggiungerci in questo nostro profondo Sud. A parlare dei motivi fondanti del credito cooperativo e della convenienza del pluralismo bancario saranno, dunque, il professor Giovanni Ferri, ordinario di economia alla Lumsa di Roma e pro-rettore della stessa università, primo firmatario (assieme a Leonardo Becchetti) di un “appello” al governo in difesa del credito cooperativo condiviso da 160 economisti italiani, e il dottor Marco Vitale, economista d’impresa e già presidente del Fondo Italiano d’Investimento. Assieme a loro interverranno anche Sergio Gatti, direttore generale di Federcasse, il quale parlerà dei punti principali dell’auto-riforma che le Bcc italiane stanno tentando di realizzare, e monsingnor Adriano Vincenzi, assistente ecclesiastico nazionale di Confcooperative e presidente della Fondazione Giuseppe Toniolo di Verona, il quale parlerà dell’ispirazione cristiana del cooperativismo italiano sulla scorta del magistero sociale della Chiesa.

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