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Benvenuti nel fantastico mondo di Mover

Da oggi e per i prossimi fine settimana pubblicheremo degli stralci del libro Mover. Odissea contemporanea di Michele Silenzi, edito da Liberilibri. Il libro, tutto scritto in prima persona e in una forma ibrida tra il saggio e il romanzo che molto assomiglia a un diario di bordo, racconta le riflessioni e gli incontri del Mover, personaggio-archetipo della nostra contemporaneità in continuo divenire. Il fil rouge che tiene insieme il libro è il concetto di distruzione e ricreazione, di dissoluzione e riaggregazione rappresentati nella nostra quotidianità. L’altro protagonista è il tempo, sempre presente con il suo ritmo incalzante, un tempo non circolare ma che si lancia in avanti, creando in tal modo le condizioni perché protagonisti sempre nuovi riescano ad emergere. L’io narrante irrompe sul mondo e lo scompone in singoli episodi autobiografici o di fantasia, spezzoni di vita che si aprono e si chiudono di continuo e che non potrebbero esistere al di fuori della contemporaneità. (Redazione)

Dal cap 1 IL MEZZO DEL FUTURO

Tempesta
Le cifre sugli schermi del computer indicano tempesta.
Vivo nell’incertezza. Dallo squilibrio assorbo energia. Dal mutamento la mia forza. Dalla diversità la mia identità. Sono una contraddizione in cammino. Un costante perfezionamento che mai si compie. Voglio tutto e il suo con¬trario. Mi muovo in ogni direzione.
Vorremmo il dolce senza l’amaro, il sussidio senza debito, il bene senza sacrificio, il benessere senza competitività: neghiamo la vita, rinunciamo alla vita e alla sua battaglia.
Gli antichi sapevano che il peggiore male era sottrarsi al flusso dell’esistenza e alla dinamica del conflitto. Del combattimento di opposti. Quella è la vita, il suo modo di darsi. Prendila come viene.
Le cifre sugli schermi del computer indicano tempesta. Nessuna possibilità di previsione, posso soltanto osservare. E agire. Per farlo devo continuamente dimenticare. Devo rimuovere per fare spazio. Tutti i miei scaffali sono occupati, inizio a buttare cose dalla finestra. Le cose che getto via lasciano soltanto una striscia, un odore, nulla di più. Devo essere sempre pronto a partire e a muovermi, ad affrontare un nuovo spostamento, un altro mutamento.
Non posso portare con me una valigia pesante. Mantengo solo le mie radici, profondissime, dove tutto ha avuto inizio. Lì sono al riparo dal vento. Lì posso riposare. Per il resto evito qualsiasi costruzione posticcia. Sono a casa nel mutamento. Voglio dimenticare per fare spazio al pre¬sente. Per inventare il futuro. Non c’è vita senza oblio.
Tutto è un impasto di abilità e casualità, bravura e for¬tuna. Tanto prima accettiamo questo, tanto più saremo pronti per la prossima corsa. Il caso, o comunque vogliate chiamarlo, è il nostro costante compagno di viaggio. Non l’unico ma il solo sempre presente.

Guardo i miei passi sulla spiaggia. Il percorso che faccio in ogni istante è soltanto la media di tutti i percorsi possi¬bili che avrei potuto intraprendere. Un insieme di tutte le decisioni prese e non prese, di tutte le idee pensate e non pensate, di tutte le azioni fatte e non fatte. A ogni passo il mio percorso muta. Ogni pensiero cambia il mio scenario futuro rendendolo impenetrabile. Per conoscerlo devo in-ventarlo, è una somma continua, una somma mobile il cui risultato non è mai conoscibile, mai stabile. Quando sarà possibile conoscerlo, alla fine, io non ci sarò per sapere quale è il risultato. Inutile chiederselo quindi, inutile pro¬vare a tirare le somme. Muovendomi non cambio solo il presente, cambio anche il passato. La mia memoria sele¬ziona ciò che vuole e lo ricorda come preferisce. Il resto lo rimuove. Non posso fare affidamento sulla mia memoria.

Sono il figlio di questo tempo. La mia prima interpreta¬zione di ogni cosa passa per un film, una pubblicità, un articolo letto alla svelta, un video sgranato su YouTube, una foto su Facebook, una serie TV americana con sottotitolo in coreano scaricata attraverso un ragazzo messicano. Qualsiasi cosa passa attraverso un’altra. È un gioco di sca¬tole cinesi. Il mio mondo è una matriosca.
Sono la mia epoca. Bombardato da informazioni ingannevoli, bene che vada imprecise. Mi arrivano trecento email al giorno di cui non so cosa fare. Ho in archivio un milione di foto che non guarderò mai. Ho immortalato ogni singolo istante della mia vita. Sul mio smartphone ci sono più di cento applicazioni del tutto inutili, ma mi di¬verte averle, mi piace sapere che ci sono.
Non importa ciò che è utile o meno. Sono il prodotto di una contaminazione di tutto quello che succede nel mondo. La semplicità si riduce quasi sempre a noia, po¬vertà d’interesse, ripetitività. Il sogno del pastorello e del buon selvaggio, se non facesse ridere, farebbe piangere. L’innocenza dell’umanità primitiva, quell’impasto di sporcizia e trivialità è il sogno degli annoiati, di chi vuole essere brutalizzato da un cavernicolo

Io sono il mondo (in cui vivo)
Le cifre sui miei schermi indicano tempesta in arrivo. Nessuna possibilità di previsione, posso soltanto osservare. E agire. Ma è sempre più difficile, sono ingabbiato nei di¬ritti. Me ne hanno concessi troppi. Adesso che mi hanno dato tutti i diritti che chiedevo sono costretto a rincorrere la loro realizzazione. Sono diventato un consumatore di diritti, ne voglio sempre di più. Mi abbuffo di diritti, sono obeso di concessioni ricevute. La frenesia di rincorrerli tutti mi impedisce di avere la calma necessaria all’azione. Ho paura che se non agisco secondo i nuovi diritti non sono un uomo del mio tempo. Non sono abbastanza pro¬gressista. Non sono abbastanza attento al sociale.

Io non sono uguale a un altro. Il mondo mi permette di essere connesso con tutti. Sono contaminato da tutti quelli che mi circondano, anche a 20.000 km di distanza, anche dal l’eschimese che fa rimbalzare il segnale del suo iPhone su un’antenna norvegese e carica il video di se stesso sulla slitta.
La diversità e lo squilibrio sono il motore del mio mondo. Parifichiamo tutto e non resterà altro che un’indistinta omogeneità. Diventeremo come cibo per neonati, una pappa uniforme distinguibile solo dall’etichetta sul vasetto. Vogliamo avere tutti il marchio di riconoscimento.

Io non sono lo Stato in cui vivo. Io sono io, poi sono la mia famiglia, i miei amici, le persone che amo, le mie cose, le persone che incontro, quello che vedo, i pensieri che formulo, i posti dove vivo, i lavori che faccio. Sono tutto ciò che mi contamina nel mondo e nel posto che scelgo di chiamare casa. L’orizzonte dello Stato inteso come nazione perde di significato. Contano le comunità cui scelgo di ap¬partenere, i gruppi organizzati attorno a un interesse o a uno scopo. I passaggi intermedi diventano insensati.
Io sono il mio futuro. Sono le mie speranze e i miei sogni. Sono il video del ragazzo di Sydney che sta facendo surf. Sono il programma inventato da un nerd di Guangzhou smanettando sul suo computer. Sono la variazione di mercato creata dal giovane brasiliano che lavora nel centro finan-ziario di San Paolo.

Le cifre sugli schermi del computer indicano tempesta. Nessuna possibilità di previsione, posso soltanto osservare. E allora guardo. Vivo nell’ambiente migliore mai comparso nel cosmo conosciuto. I progressi nella qualità di vita, nelle possibilità offerte, nel miglioramento delle condizioni di chi sta peggio sono infinitamente superiori a quelli di qualsiasi altra epoca. La vita si allunga, i poveri diminuiscono, la ricchezza globale aumenta. [To be continued]

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