Nei servizi pubblici la natura del conflitto di interesse, e dello sciopero che ne consegue, va al di là di un confronto circoscritto tra datore di lavoro (il più delle volte soggetto pubblico o comunque soggetto a convenzioni pubbliche) ed i lavoratori interessati, perché coinvolge tutti i cittadini utenti del servizio e produce negativi effetti collaterali sull’intera collettività. In particolare lo sciopero dei mezzi pubblici è lo strumento più efficace per creare disagi rilevanti nella grandi realtà urbane. Non a caso una saggia tradizione vorrebbe che il sindacato spiegasse con chiarezza ai cittadini, scusandosi dei disagi, le ragioni della protesta.
Ciò anche per fare indirettamente pressione sull’opinione pubblica, e di riflesso sulla politica e sugli amministratori ai quali tocca la responsabilità di una corretta gestione della imprese. C’è da sempre una larga convergenza sul principio che, in nome della tutela degli interessi delle fasce più deboli della cittadinanza, gli scioperi nei servizi pubblici debbano avere specifiche norme concordate e condivise con le organizzazioni sindacali.
Queste regole (sottoscritte) vanno dalle procedure di raffreddamento alla fasce orarie di garanzia , dai servizi minimi essenziali a veri e propri periodi di moratoria. Ma, anche a causa della patologica frammentazione della rappresentanza che riconosce a chiunque di proclamare lo sciopero, la “regolamentazione” (seppur accettata da tutte le organizzazioni sindacali) non dà sempre i risultati sperati. Per forza di cose più efficace si rivela, nelle situazioni di emergenza, la precettazione.
Per produrre stabilmente effetti capaci di correggere le contraddizioni esistenti occorre sciogliere il nodo della natura del diritto di sciopero. Si tratta di un diritto soggettivo, tutelato in via assoluta, o piuttosto di un diritto individuale che deve essere esercitato collettivamente, presupponendo la ricerca del consenso da parte di coloro che ne sono titolari per esercitare insieme tale diritto?
Al di là delle questioni di principio, a maggior ragione dove esiste un forte pluralismo conflittuale dovrebbe valere il principio di far decidere lo sciopero per via referendaria dalla maggioranza dei lavoratori interessati., così come la maggioranza dei lavoratori decide se accettare o respingere una ipotesi di accordo contrattuale.
Fintanto che lo sciopero sarà considerato un diritto individuale costituzionalmente protetto che si può esercitare anche come scelta individuale, dovremo rassegnarci al ripetersi delle recenti (e purtroppo non infrequenti) vicende del trasporto urbano nelle città metropolitane. Questo naturalmente varrebbe anche per il settore privato dove l’esercizio dello sciopero ha comunque in sé fattori di equilibrio e di autoregolamentazione. Le parti hanno ben presente il rapporto tra costi e benefici. L’impresa è luogo di conflitto ma è nello stesso tempo considerata un bene da difendere perché in essa convivono in misura crescente rilevanti interessi comuni di proprietari e dipendenti.
Ma stante le nutrite e agguerrite schiere dei difensori del principio dello sciopero come diritto individuale costituzionalmente protetto, l’obiettivo di cambiamento che sembra porsi il governo è una sfida ben più impegnativo di quella dell’articolo 18.
Walter Galbusera