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Che cosa c’è (e cosa non c’è) nel Def

Meglio non stracciarsi troppo le vesti per gli annunci governativi come quelli di oggi di Matteo Renzi. Ogni premier cerca di convincere i cittadini e gli elettori che sta governando meglio di altri.

Certo, forse sarebbe opportuna una maggiore accortezza nelle rassicurazioni e nelle promesse. È arduo trovare una logica infatti se si dice, come ha fatto il premier in conferenza stampa dopo il consiglio dei ministri che ha discusso il Def (Documento di economia e finanza), che il governo sta da tempo tagliando le tasse e poi ascoltare che le imposte verranno ridotte, se possibile, dal prossimo anno.

Beninteso, gli sforzi e l’impegno dell’esecutivo ci sono e non vanno sottovalutati, come gli sgravi triennali per le assunzioni e il Jobs Act che tanto fanno sbraitare Maurizio Landini. Ma forse una maggiore accortezza non guasterebbe quando si ascolta che non ci saranno tagli alla spesa pubblica e, contemporaneamente, si annuncia che non scatteranno gli aumenti dell’Iva per effetto delle cosiddette clausole di salvaguardia. E come si disinnescano queste clausole se non con la riduzione della spesa?

Premettendo come al solito che è più facile vergare un commentino come questo che scrivere un documento come il Def, da un governo come quello Renzi ci si potrebbe aspettare qualche azione più incisiva, ad esempio sul fronte dell’abbattimento strutturale del debito. A meno che, se si è compreso bene la conferenza stampa finita da pochi minuti, si considera come il massimo dell’arditezza lo slittamento al 2018 del pareggio di bilancio (il che è pure una buona e giusta semi rottamazione del Fiscal Compact…).

Insomma, c’era bisogno di un governo tosto e decisionista come quello Renzi per un Def che avrebbe potuto elaborare forse qualsiasi altro esecutivo? Per di più quando, come ora, le prospettive macroeconomiche non sono proprio sconfortanti fra mini euro, petrolio a basso costo e allentamenti monetari della Bce.

Ma lasciamo parola e numeri a Renzi e al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.

GLI ANNUNCI DEL PREMIER

“Oggi abbiamo avviato l’esame preliminare del Def che sarà approvato venerdì”, ha detto il premier al termine del consiglio dei ministri. “Non ci sono tagli e non c’è aumento delle tasse. Da quando siamo al governo l’operazione costante è di riduzione delle tasse”, si è beato il presidente del Consiglio.

I NUMERI DI RENZI

Secondo Renzi, i tagli alle tasse fatti finora arrivano a 18 miliardi di euro nel 2015 (“10 dagli 80 euro e 8 dai provvedimenti sul lavoro”, cui vanno aggiunti secondo il premier “anche i 3 miliardi di clausole di salvaguardia” che non scatteranno) e ha assicurato che “se saremo nelle condizioni” le tasse verranno ridotte “nel 2016”. Quindi i tributi non sono stati ridotti. Contraddizione renziana da comprendere: per il governo, gli 80 euro sono meno imposte, mentre in realtà sono (anche) più spesa. Questione (non banale) di punti di vista su cui s’accapigliano i tecnici.

LE PREVISIONI SUL PIL

Il Pil crescerà dello 0,7% quest’anno, dell’1,4% nel 2016 e dell’1,5% nel 2017, ha detto il ministro dell’Economia, Padoan, al termine del consiglio dei ministri che ha discusso il Def che sarà approvato venerdì prossimo. Il rapporto deficit/Pil dell’Italia sarà del 2,6% per quest’anno, del 1,8% nel 2016, dello 0,8% nel 2017, ha affermato Padoan. Quindi pareggio del bilancio rinviato al 2018.

L’OTTIMISMO DI PADOAN
“Se come noi pensiamo, si consolida la fiducia dei cittadini e delle imprese dopo che si è consolidata la fiducia nei mercati e fiducia nelle istituzioni, allora le aspettative che abbiamo adesso potrebbero essere sbagliate per difetto potremmo avere numeri più positivi”, ha proseguito il ministro dell’Economia.

COME EVITARE LE CLAUSOLE DI SALVAGUARDIA

Le clausole di salvaguardia saranno disinnescate in parte con la spending review, in parte “automaticamente” con benefici della crescita. Padoan ha definito “semplicemente falso” il grande “tam tam” sulla stampa su un aumento delle tasse.

DOSSIER PRIVATIZZAZIONI

Le privatizzazioni, ha detto il titolare del Tesoro, frutteranno “in 4 anni 1,7-1,8 punti di Pil. Ora ci stiamo concentrando su Enel e Poste, ma ci sono anche altre voci come Ferrovie ed Enav. I tempi sono dominati dall’ andamento dei mercati e dal tentativo di valorizzare al meglio le aziende di proprietà dello Stato”.

I NUMERI SUL DEBITO

Il debito pubblico si attesterà nel 2015 al 132,5% del Pil, scendendo nel 2016 al 130,9%, fino al 123,4% del 2018. Ha sottolineato Padoan: “Nel 2018 la regola del debito sarà pienamente soddisfatta, l’incubo della montagna del debito che può attivare la ghigliottina delle regole sarà finalmente via”. “Se applicata domani – ha spiegato Padoan – la regola del debito varrebbe più di 2 punti di Pil”.

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