Per quanto ancora molto grezzi, i dati tratti dalle Comunicazioni obbligatorie del mese di marzo, pubblicati il 23 aprile 2015 dal ministero del Lavoro, sono per diversi aspetti straordinariamente positivi. Quasi centomila nuovi contratti regolari in più (la differenza tra le 641.572 attivazioni di nuovi contratti verificatesi nell’arco del mese e le 549.273 cessazioni).
Aumento del 49,5 per cento delle assunzioni a tempo indeterminato rispetto al marzo 2014: da 108.647 a 162.498.
Tra il marzo 2014 e il marzo 2015 aumentano dell’81 per cento le trasformazioni da contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, quasi un raddoppio: da 22.116 a 40.034. E tutto questo avviene in concomitanza con una drastica riduzione del numero di ore di intervento della Cassa integrazione: ritornano al lavoro molte decine di migliaia di persone che non figuravano come disoccupate, in quanto il loro rapporto di lavoro era solo sospeso ma non interrotto.
Nei giornali del 24 aprile predominano i toni trionfalistici: “Marzo, boom delle assunzioni” (Corriere della Sera); “Boom di contratti e stabilizzazioni” (la Repubblica); “Lavoro, 92mila posti in più a marzo” (il Messaggero); “Effetto Jobs Act” (la Stampa); “Questo Jobs Act funziona” (il Foglio). Forse il più bello è il titolo del fondo di Alberto Orioli sul Sole 24 Ore: “La primavera del lavoro”.
Che in questi dati possa leggersi un forte indizio dell’impatto positivo del decreto n. 23/2015 in materia di contratto di lavoro a tutele crescenti – entrato in vigore il 7 marzo – sulla quantità e qualità delle nuove assunzioni, è difficile negarlo.
Nei due mesi immediatamente precedenti l’aumento delle assunzioni a tempo indeterminato rispetto al bimestre gennaio-febbraio 2014 era stato del 20,7 per cento: un possibile effetto della riduzione del prelievo contributivo e fiscale sui rapporti a tempo indeterminato, disposta dalla legge di stabilità del dicembre 2014; ma nel corso del marzo 2015, nonostante che la riforma sia entrata in vigore soltanto il 7, l’aumento delle assunzioni a tempo indeterminato rispetto al marzo 2014 è stato del 49,5 per cento. Ancora più marcata è stata la differenza, rispetto ai due mesi precedenti (nei quali ha operato soltanto l’incentivo economico) dell’aumento delle trasformazioni di contratti a termine in contratti a tempo indeterminato: più 81 per cento.
L’invito alla prudenza nella valutazione di questi dati, però, è d’obbligo. Per diversi ordini di motivi. I dati relativi a un solo mese, nel quale oltretutto la riforma ha operato effettivamente soltanto per tre quarti della sua durata, non possono essere significativi degli effetti stabilmente prodotti dalla riforma stessa nel funzionamento del mercato del lavoro nazionale.
Inoltre non ci si deve fermare ai dati delle Comunicazioni Obbligatorie al ministero del Lavoro, inerenti al flusso delle nuove assunzioni, perché saranno importantissime anche le variazioni dello stock degli occupati e dei disoccupati, che risulteranno dai dati forniti dall’Istat, oggi non ancora disponibili, e i dati disaggregati che fornirà l’Inps sul genere e l’età dei lavoratori assunti nelle varie forme nonché sull’entità delle retribuzioni.
(Sintesi di un’analisi più ampia che si può leggere sul blog di Ichino)