Ricorre tra pochi giorni il centenario dell’inizio di uno dei più terribili tra i crimini contro l’umanità che hanno contrassegnato il Novecento, l’ondata di massacri e deportazioni di massa che colpirono gli armeni di Turchia nella fase finale della lunga storia dell’Impero Ottomano.
Molte centinaia di migliaia di morti, forse un milione e mezzo, forse più, il numero non è mai stato rilevato con certezza, proprio per l’enormità delle dimensioni del crimine, molti furono assassinati, altri lasciati morire di sofferenze e di stenti, durante le deportazioni. Una furia distruttiva pervase il regime dei “Giovani Turchi”, fautori inizialmente della modernizzazione ed “europeizzazione” del sistema politico e della monarchia costituzionale, ma poi trascinati da una deriva ultranazionalista, segnata dall’ostilità verso le etnie non turche, in un impero che sempre si era contraddistinto per il suo carattere multietnico.
A quel tentativo di cancellazione di un popolo ne sono seguiti molti altri, purtroppo, nel corso di un secolo gravido di barbarie e di atrocità. Qualcuno ha parlato di “prova generale” per il successivo Olocausto degli ebrei, scientificamente realizzato dal regime hitleriano, date le affinità che si registrano. Quel secolo, il Novecento, faremmo bene a lasciarlo ormai dietro le nostre spalle, sebbene il successivo non sia iniziato sotto i migliori auspici e, anzi, in questa fase, in certe aree di conflitto, sembri talora pericolosamente attratto dagli esempi del precedente.
Un aspetto che, tuttavia, contraddistingue il genocidio armeno, rispetto ad altri consumatisi in quello stesso secolo terribile, è la tendenza alla rimozione e all’oblio che si è avvertita fin dall’inizio e che ripugna alle coscienze plasmate sul rispetto dei diritti umani e dei valori della non violenza e della libertà. Perché i governanti turchi si ostinano, con questa durissima determinazione, a contestare la verità del genocidio, arrivando addirittura a sanzionare pesantemente, sul piano penale, coloro che ne sostengano il fondamento?
La Germania di oggi non nega certo l’avvenuta consumazione dell’Olocausto, consapevole della sua abissale diversità dal regime che allora lo aveva perpetrato e di esprimere ora un sistema politico nato in contrapposizione a quell’esperienza nefasta. E questo vale anche per molti altri paesi approdati alla democrazia, dopo aver scalzato regimi responsabili di crimini efferati e disumani e, pensando appunto al Novecento, se ne perde addirittura il conto! Perché dunque la Turchia, o meglio la sua classe dirigente, che vuole portare il Paese nell’Europa integrata, l’Europa delle libertà e dei diritti, offusca la propria immagine sul piano internazionale, nell’intento impossibile di attenuare le responsabilità del regime disperato e fallimentare che governò quell’impero nella fase della dissoluzione finale?!
Un impero, cui proprio i fondatori della odierna Turchia posero fine, con la deposizione del Sultano, atto che segna la discontinuità tra il regime ottomano e la Repubblica di Ataturk, oggi rappresentata da Erdogan. Una classe dirigente che intenda avviarsi con decisione sulla strada della democrazia e anche dell’Europa non deve temere di fare i conti con gli spettri di cento anni fa e di rendere testimonianza alle vittime di quell’orrore! Credo che ancora una volta meritino encomio il coraggio e la franchezza consueta di Papa Francesco che ha richiamato pubblicamente la gravità di quell’aggressione, come monito assai necessario e tempestivo, nella tormenta di odio etnico e religioso che investe tante aree del mondo in questi mesi, dalla Siria all’Iraq, dal Kenya alla Nigeria! La memoria è un incentivo efficace, sebbene non sempre sufficiente, ad evitare la reiterazione degli eccessi e la sua rimozione può rivelarsi pericolosa. E anche i governi devono fare la propria parte.
Mi è apparsa, al riguardo, eccessiva la cautela manifestata dal sottosegretario Gozi, quando ha dichiarato che la materia è riservata agli storici e che il giudizio non spetterebbe dunque ai governi. L’Europarlamento ha riconosciuto e condannato il genocidio armeno e anche una ventina di paesi, tra i quali l’Italia (risoluzione della Camera dei Deputati del novembre 2000), così come il governo degli Stati Uniti ha ricordato recentemente la consumazione del massacro di un milione e mezzo di armeni.
Il superamento di un’eccessiva ostinazione e reattività sul tema, da parte della Turchia, non potrebbe che giovarle nella prospettiva di una più stabile integrazione nella comunità delle nazioni democratiche – sempre peraltro perseguita nelle enunciazioni ufficiali – in una fase assai critica sul piano interno e internazionale.