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Perché il nucleare iraniano è ancora in piedi (nonostante l’accordo)

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Il 16 marzo scorso è stato arrestato un cittadino taiwanese, Hsien Tai Tsai, per aver esportato illegalmente strumenti e macchinari utili alla produzione di armi nucleari e di “distruzione di massa”, secondo la terminologia, un po’ ingenua, in uso oggi.
Sihai Cheng, un cittadino cinese, è stato condannato pochi mesi fa negli Usa in quanto mediatore d’affari per degli strumenti necessari al programma nucleare iraniano.
Ben nove uomini di affari o collaboratori dei servizi segreti iraniani sono stati, negli ultimi tempi, condannati in Occidente per aver fatto da mediatori nell’acquisto di parti utili per la costruzione e l’aggiornamento di reattori nucleari.

Non si deve dimenticare la capacità dei Servizi iraniani di manipolare i leader e la pubblica opinione Usa e europea: oggi sarebbe il momento di ricordarsi di quel’ex banchiere sciita, residente da tempo negli Usa e impossibilitato a rientrare in Giordania a causa di una bancarotta fraudolenta, che, in poco tempo, convince i leader Usa che il popolo iracheno non ne può più di Saddam Hussein e che le forze occidentali sarebbero accolte con fiori e dolci. Bene: si scoprì non troppo presto che il “liberatore dell’Iraq” era un agente iraniano.

La forza Al Quds – il gruppo di élite dei pasdaran iraniani che gestisce e organizza i gruppi filoiraniani in tutto il Grande Medio Oriente – ha poi mandato in Cina notevoli quantità di denaro per l’acquisto di materiali adatti alla produzione di energia nucleare, materiali che sono stati intermediati e prodotti dalle aziende cinesi nella Zona economica speciale di Shenzen.
D’altra parte, come è stato notato da molti analisti, le circa 6 mila centrifughe lasciate in azione con l’accordo di Losanna del P5+1 sono un numero irrazionale e, certamente, eccessivo.
Le circa 6 mila centrifughe produrranno 2 tonnellate di uranio a basso tasso di arricchimento, ovvero con un 3,5% di U235.

Per il solo reattore di Bushehr occorrerebbe, in un anno, quindici volte quella quantità di uranio a basso tasso di U235, ma – è questo il punto – Teheran ha ancora in piedi un accordo per comprare materiale fissile per Bushehr dalla Russia.
Se invece si suppone che le 6 mila centrifughe siano in funzione per produrre il materiale fissile che serve per la ricerca medica e fisica, allora quelle centrifughe sono davvero troppe.

D’altra parte, occorre un anno per produrre, con 5 mila centrifughe sempre attive, l’uranio arricchito per una sola bomba nucleare, a partire dall’uranio a basso tasso di U235. Basta ripassare il materiale ottenuto più volte nelle centrifughe, è molto semplice.
E c’è da ricordarsi che l’organizzazione del pakistano A.Q. Khan, all’origine del nucleare in Iran e in Corea del Nord, aveva offerto proprio 6 mila centrifughe per predisporre il nucleare militare del colonnello Muammar Gheddafi.
Il sistema libico elaborava uranio naturale (0,7% di isotopi fino al livello del 3,5% per poi riattivare lo stesso processo sul materiale già raffinato arrivando a livelli di arricchimento del 20% e del 30%, largamente sufficienti per un ordigno nucleare piccolo, non del tutto invasivo, credibile.

Il problema è che questi Stati non vogliono e non gli serve la grande arma atomica come quella di Hiroshima e Nagasaki, ma hanno la necessità strategica di un ordigno tattico che, però, sia efficacissimo nell’uso controforze.
Per un ordigno nucleare vero e proprio occorre l’U-235 al 90%, ma lo si può fare con vari passaggi nelle centrifughe, Bastano, oggi, sedici chilogrammi per una bomba ad implosione.
Secondo alcuni tecnici, poi, costruire una piccola struttura clandestina per estrarre plutonio è addirittura più facile e rapido del costruire una centrifuga.
E in effetti, nell’ottobre 2012, l’Iran asportò proprio da Bushehr materiale contenente 220 libbre, oltre 99 chili, di plutonio già a livello di raffinazione utile per un’arma. Ovvero abbastanza per un ordigno modello Nagasaki. Dove sono andati?
Peraltro, gli Emirati sono ormai al centro di molte triangolazioni di materiale sensibile per la costruzione e l’upgrading del nucleare di Teheran, e la quantità di attività illecite è salita, se andiamo a vedere le condanne, di oltre il 25%. Anche loro vogliono il nucleare, per regolare i loro rapporti con i sauditi, per non parlare del nucleare militare-civile dell’Egitto e dell’Iraq, collegato naturalmente a quello iraniano.

È vero, peraltro, che il nucleare, in quei Paesi, serve ad evitare al massimo il consumo di petrolio e di gas naturale, che invece deve essere venduto a noi.
Ma è anche vero che, fin dall’inizio, tutti i Paesi dell’area hanno pensato ad un nucleare per “regolare i conti” con i loro nemici storici, magari distruggendone le aree di estrazione petrolifera e gaziera. E perché l’Iran dovrebbe essere diverso dagli altri? Peraltro, l’Iran ha tentato, spesso riuscendoci, di procurarsi non solo materiale per l’arma nucleare, ma anche molto altro: i missili antinave C-801 e C-802, i radar per la sorveglianza aerea, un reattore a fusione e alcune tipologie di missili. Loro li copiano e li adattano, e così l’interoperabilità dei sistemi d’arma va a farsi benedire, e anche questo è un risultato strategico e operativo tutt’altro che irrilevante.

E ancora, è noto ai tecnici che le forze militari iraniane hanno spesso bloccato gli esperti della Iaea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, prima delle verifiche interazionali ad alcuni siti. Nell’accordo non c’è nessun obbligo, per Teheran, di fornire il massimo e completo supporto all’Agenzia viennese.
Inoltre: c’è la struttura militare nucleare iraniana di Qusayr, in Siria, a due chilometri dal confine con il Libano.
E si potrebbe perfino ipotizzare che l’Iran voglia fare “outsourcing” del suo vero programma militare nucleare spostandolo, almeno in parte, in Corea del Nord, nello Yemen e, come abbiamo già visto, in Siria.
In questo caso, la questione si risolverebbe da sola: Teheran sarebbe rispettosa della “comprehension” di Losanna e la minaccia sciita sarebbe del tutto intatta, sia in Europa che nel Mediterraneo.

Viene in mente Henri Bergson, in un vecchio testo dalle sue lezioni al Collége de France: “la forza che si usa e quella che non si usa”. La forza che non si usa è quella nucleare, ma è il massimo della minaccia strategica ed è questa la sua finalità vera. Dare il nucleare ad un Paese significa renderlo davvero indipendente e capace di fare politica a livello globale. Ecco perché l’antinuclearismo europeo è sommamente pericoloso: equivale alla morte strategica dell’Europa e del Mediterraneo.

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