La sentenza della Corte europea dei diritti umani che ha condannato i fatti del G-8 di Genova ha toccato un nervo scoperto dell’Italia, non solo dal punto di vista emozionale. Strasburgo ha stabilito che quanto compiuto dalle forze dell’ordine nell’irruzione alla Diaz il 21 luglio 2001 “deve essere qualificato come tortura“. E pertanto ha condannato la Penisola non solo per quanto fatto a uno dei manifestanti del Genoa Social Forum, ma anche perché non ha una legislazione adeguata a punire il reato di tortura, nonostante abbia ratificato nel 1987 una Convenzione Onu che la imponeva.
L’ITER DEL TESTO
In realtà, seppur in forte ritardo, la proposta di legge che introduce questo reato nel codice penale italiano è già approdata in Aula alla Camera il 23 marzo scorso e, anche a causa di questa sentenza, potrebbe lasciarsi alle spalle alcuni ostacoli, come le perplessità del sindacato di polizia. Già oggi da Montecitorio potrebbe arrivare l’ok al testo, che sarebbe licenziato definitivamente entro l’estate. Si tratta, infatti, della seconda lettura del provvedimento, che è stato modificato e, dunque, dovrà tornare al Senato.
COSA PREVEDE
Il provvedimento – riassume Il Messaggero – introduce il reato di tortura nell’ordinamento italiano “come reato comune e prevede per questo il carcere da 4 a 10 anni. È prevista una aggravante nel caso la tortura venga perpetrata da un pubblico ufficiale con le pene che vanno dai 5 ai 12 anni. È colpevole di tortura, secondo il testo, chi, con violenza o minaccia ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione, cura o assistenza, cagiona intenzionalmente a una persona a lui affidata o sottoposta alla sua autorità acute sofferenze fisiche o psichiche al fine di ottenere informazioni o dichiarazioni o infliggere una punizione o vincere una resistenza o ancora in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose“. Sono previste aggravanti: quando il reato è compiuto da pubblico ufficiale o da incaricato di pubblico servizio; in base alla sofferenza patita; l’entità delle lesioni; la morte della persona offesa, quale conseguenza non voluta (in questo caso la pena prevista arriva ad un massimo di 30 anni di reclusione) o voluta (ergastolo). La legge introduce poi nell’ordinamento il reato di istigazione a commettere tortura (da 6 mesi a 3 anni), l’impossibilità di utilizzare in un processo penale dichiarazioni ottenute con la tortura e sono raddoppiati i termini di prescrizione.
RILEVANZA INTERNAZIONALE
“Il testo poi – conclude il quotidiano diretto da Virman Cusenza – vieta le espulsioni, i respingimenti e le estradizioni ogni qualvolta sussistano fondati motivi di ritenere che, nei Paesi di provenienza degli stranieri, essi possano essere sottoposti a tortura. Stop alle immunità diplomatiche per agenti diplomatici che siano indagati o siano stati condannati nei loro Paesi d’origine per il delitto di tortura e questo sia per l’azione di tribunali nazionali che di Corti internazionali. Infine, obbligo di estradizione verso lo Stato richiedente dello straniero indagato o condannato per il reato di tortura“. Questi aspetti avranno un effetto rilevante anche nei rapporti internazionali, come si evince dall’introduzione al rapporto 2008 di Amnesty International, che denunciava le presunte attività illecite condotte in alcuni centri detentivi della Cia in Europa (sequestro, nella detenzione segreta e nel trasferimento illegale di prigionieri verso Paesi in cui sono stati sottoposti a torture o ad altri maltrattamenti). Tutte operazioni che da questo momento in poi sarebbero soggette a una attenzione e ad un’attribuzione di responsabilità molto diversa da quella odierna.
L’ORIENTAMENTO DI BRUXELLES
In ambito europeo, sono diverse le iniziative assunte, come ricorda una scheda realizzata da Unimondo. “Oltre all’articolo 3 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, è stata elaborata dal Consiglio d’Europa la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti, un meccanismo di natura preventiva attuato dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene inumane e degradanti che effettua visite nei luoghi in cui delle persone sono private della libertà da parte di una autorità pubblica“.
GLI ALTRI PAESI EUROPEI
Ma cosa accade negli altri Paesi europei? Gli Stati più importanti, spiega Il Sole 24 Ore, hanno già tutti una legislazione mirata a punire in modo specifico questo reato, ad eccezione della Germania.
In Francia “il reato di tortura o atti di barbarie è disciplinato dal codice penale. La pena “minima” è fino a 15 anni senza possibilità di godere dei benefici come la sospensione o il frazionamento. La reclusione può arrivare fino 20 anni se commessa su un minore o un disabile fisico o psichico (fino a 30 se il reato è commesso da un genitore, o in maniera abituale nei confronti di una persona vulnerabile per età, malattia o infermità). In caso di morte è previsto l’ergastolo“.
Nel Regno Unito, “il Criminal Justice Act del 1988 prevede la detenzione a vita per chi commette il reato di tortura. Ossia «il pubblico ufficiale» che nell”esercizio delle sue funzioni «pone in essere azioni tali da procurare ad altri sofferenza fisica o psicologica»“.
Il codice penale di Madrid “modula le pene in base all’autore del reato. In via generale la pena va da 6 mesi a due anni. Se a commettere il reato di tortura è un funzionario pubblico la detenzione va da 2 a 6 anni per fatti gravi e da uno a 3 per fatti meno gravi. In ogni caso è prevista l’inabilitazione assoluta da 8 a 12 anni“.
Mentre benché Berlino vieti l’uso della tortura “non esiste una norma specifica del codice penale“. Ci sono tuttavia “norme assimilabili alla fattispecie. In particolare i maltrattamenti fisici e psichici in generale sono puniti con la reclusione fino a 3 anni – elevata a 5 per fatti gravi – che passa da 1 a 10 se compiuti da un pubblico ufficiale“.