Dalle colonne del Corriere della Sera, il politologo ed editorialista Angelo Panebianco ha scritto ieri che di fronte a una morte tragica, ma accidentale, come quella del cooperante Giovanni Lo Porto, una parte dell’opinione pubblica italiana ha preferito dare la colpa al “nemico” americano e non a coloro che lo hanno rapito e imprigionato, rendendo necessario un intervento finito poi sciaguratamente male.
Da cosa dipende una reazione simile? E perché l’Occidente sembra ormai incapace di cogliere la portata di alcuni grandi mutamenti politici e sociali – come il fenomeno jihadista – che pure lo riguardano da vicino?
Ecco alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con il professor Massimo Teodori, storico, scrittore e componente del board del Centro Studi Americani di Roma presieduto da Gianni De Gennaro.
Professor Teodori, sul Corriere della Sera di oggi il politologo Panebianco sottolinea come molti in Italia, di fronte alla morte di Lo Porto, abbiano identificato il nemico negli americani e non nel terrorismo islamico, come sarebbe giusto fare.
Credo che Panebianco veda giusto. Tutte le volte che gli Usa sono coinvolti in una questione internazionale, vi sono settori notevoli dell’opinione pubblica che li ritengono responsabili di comportamenti riprovevoli.
Da cosa dipende ciò?
Si perde di vista che oggi, dopo la fine della contrapposizione tra est e ovest, tra mondo comunista e mondo libero, si è persa la capacità di comprendere che si è formata una nuova grande contrapposizione globale, tra il mondo sviluppato, cosiddetta modernità e l’integralismo islamico, che ha esordito sulla scena internazionale con gli attentati dell’11 settembre del 2001.
Su Formiche.net, Carlo Panella ha sostenuto che la nostra società sia ormai troppo stanca per rendersi conto di questi mutamenti, che rischiano pertanto di travolgerci.
Noi viviamo in società del benessere che da 70 anni di fatto non conosce più scontri, almeno non come quelli che si sono avuti nel ‘900. E poi, se si guarda al nostro Paese, c’è anche un elemento specifico, che è l’anti americanismo sotterraneo che percorre l’italia in maniera carsica. È sempre nel sottofondo e viene fuori in specifiche occasioni. Ed è un sottofondo dato soprattutto dalla convergenza di tre tradizioni ideali: la sinistra marxista, la sinistra cristiana e la destra nazionalista.
Come incidono sull’anti americanismo queste tre tradizioni?
Queste tre correnti sotterranee sono tuttora presenti e anche se non si esprimono più nei tradizionali partiti della Seconda Repubblica, danno vita ad un fenomeno singolare, ma molto frequente. A seguito di qualsiasi fenomeno internazionale, se gli Usa non intervengono, gli viene addossata l’accusa di non utilizzare la propria forza o la propria influenze per porre fine, ad esempio, ad alcuni conflitti, come quello in Libia. Allo stesso modo, nel momento in cui intervengono, come nel caso dell’incidente che ha tolto la vita a Giovanni Lo Porto e Warren Weinstein, li si accusa di essere una nazione che usa strumenti imperialisti. È una sorte di dannazione che non colpisce solo presidenti come George W. Bush, decisamente più interventista, ma anche uno come Barack Obama, che ai boots on the ground preferisce i droni.
Dopo la morte di Lo Porto e Weinstein c’è chi ha messo alla gogna questo strumento.
Certamente c’è la necessità di regolamentarne l’uso, ma non c’è dubbio che sia meno costoso sia in termini economici sia in termini di vite umane rispetto alle guerre con truppe di terra, così come lo sono state tutte quelle della seconda parte del Ventesimo secolo.
Al di là dei droni, nel caso del cooperante italiano le indiscrezioni di stampa hanno evidenziato ancora molti punti da chiarire nella vicenda. Cosa ne pensa?
Un Paese così forte, come lo sono gli Stati Uniti, commette degli errori. In questo caso l’errore è stato non valutare in modo corretto chi fosse presente sul luogo dell’attacco. Sbaglia chi dice che l’incidente non sarebbe accaduto se al posto del cittadino italiano ce ne fosse stato uno di un’altra nazione, perché rammento che nelle medesima situazione ha perso la vita anche un americano, sulla cui liberazione pare fossero in atto trattative in stato avanzato. Ed è bene anche evidenziare che a questi errori, connaturati nell’agire di chi esercita il potere, si affianca spesso la capacità di correggerli. Con la sua dichiarazione, Obama ha avuto il coraggio di dire pubblicamente come stavano le cose, chiedere scusa e mettere a disposizione tutto il materiale segreto riguardante la vicenda. È anche questa la forza di sistema democratico americano.