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Narrazioni politiche di fine millennio

Gli anni Novanta hanno rappresentato un decennio a se stante, e con un proprio pro¬filo originale, oppure hanno coinciso de facto con un prolungamento e una protesi (fonda¬mentale e imprescindibile, soprattutto da un punto di vista critico) degli Ottanta che, come hanno sottolineato alcuni osservatori, sembrano non finire mai?

Vexata quaestio, e ardua sentenza, a proposito della quale il giudizio oscilla, anche se si rivela difficilmente contestabile il fatto che molte delle novità e discontinuità introdotte dagli Eighties si siano travasate e, per così dire, perfezionate nei dieci anni seguenti. Fase storica ambigua e contraddittoria, dun-que. E supremamente postmoderna (o anche, per taluni versi, già post-postmoderna), nella quale il mood e lo spirito dei tempi possono essere colti anche (o forse soprattutto…) attraverso alcuni frammenti di un discorso definitivamente decostruito e decomposto per sempre.

Archiviate le ideologie sul liminare del decennio precedente, celebrata la fine della storia, stabilmente instauratasi l’egemonia (almeno in apparenza) irreversibile e non scalfibile del neoliberismo e del suo braccio politico (il neoliberalismo), gli smottamenti e mutamenti carsici di quel periodo vanno verosimilmente ricercati nell’ambito dell’immaginario, divenuto progressivamente sempre più rilevante per la concretissima vita collettiva all’indomani della metà degli anni Sessanta. Segni del tempo che ridefiniscono le categorie e i modi di pensare dell’opinione pubblica, come l’assoluta centralità del web e della tecnologia (nel 1991 Linus Torvalds dà vita al sistema operativo Linux e nel ‘98 Larry Page e Sergey Brin creano Google), la quale si declina innanzitutto sul piano dei consumi e della quotidianità – e che in Italia, giusto per portare un esempio, assume anche il volto del carattere di massa della telefonia cellulare. E se in Italia iniziano la loro lunga marcia verso il potere degli anni successivi alcuni esponenti della cosiddetta “generazione Bim Bum Bam” (ogni fascia anagrafica e ciascun Paese hanno il Bildungsroman che si meritano, o che gli tocca…), uno dei generi che maggiormente contraddistingue l’immaginario globale di quella fase appena trascorsa è quello della fantascienza, in particolare nel suo filone apocalittico e catastrofico.

Una sorta di presagio della crisi futura? O qualche tensione subliminale dopo l’ubriacatura dei dorati anni Ottanta e nel bel mezzo dello sviluppo tecnologico e della bolla speculativa che si addenseranno intorno alla new economy? Chissà… di nuovo, ai posteri il responso. Ma a marcare in maniera a nostro avviso decisiva il decennio sono, specialmente, le avvisaglie di quella che, di lì a poco, sarebbe divenuta, a tutti gli effetti, la politica pop. Tra spin doctoring, nuovi frame e storytelling, quell’imperialismo della comunicazione che aveva fatto le sue (trionfali) prove generali naturalmente negli anni Ottanta, si impone, sulla scorta dell’esperienza statunitense, all’intero occidente (come mostra anche il processo di costruzione e consolidamento delle declinazioni nazionali della Terza via).

Nel suo Modernization and postmo¬dernization (1997), lo scienziato della politica Ronald Inglehart forniva una significativa sistemazione teorica al suo lavoro dei decenni precedenti, delineando la co-evoluzione di sviluppo economico, mutazioni culturali e cambiamenti politici. Ciò che il decennio dei Novanta ci consegna in forma compiuta, difatti, è l’irruzione definitiva e nella forma di issue meritevole di risposta di valenza pubblica, e in termini di policy, della “politica della vita”, sull’onda di quelli che lo studioso statunitense aveva etichettato come “valori post-materialisti”, ampiamente diffusisi a seguito della globalizzazione culturale e comunicativa. I post-materialist values manifestano e traducono preoccupazioni e istanze riguar¬danti la sfera privata e la qualità della vita, precedentemente misconosciute o neglette, e assimilabili a quel concetto – anch’esso a lungo non contemplato dalle dottrine della legittimazione politica moderna – che consiste nella ricerca della “felicità” non unicamente collettiva ma anche personale. La difesa dell’ambiente e l’ecologia, il riconosci¬mento dell’arcipelago dei diritti individuali e di libertà e degli stili di vita considerati per parecchio tempo non ortodossi, l’autostima, il piacere estetico, il femminismo, l’omosessualità, la famiglia e la sfera dell’affettività, le opportunità per emanciparsi e ricercare la
propria soddisfazione in tutti gli ambiti ove ciò sia possibile diventano oggetto di policies (o di attese in tal senso).

E questa ondata di “politica della vita” occupa anche saldamente il campo della sinistra, mentre, a destra, gli anni Ottanta avevano già sparso a piene mani la visione e le prassi dell’individualismo edonistico. L’onda lunga di questa trasformazione investe pienamente anche la nostra Penisola, dove l’inchiesta Mani pulite e Tangentopoli danno il colpo di grazia alla già indebolita e periclitante Prima repubblica. E, nell’anno 1994, vince una formazione politica inedita e inusitata, Forza Italia, che delle nuove narrazioni politiche ha saputo farsi megafono impressionante.

Quelle alla cui elaborazione – si è spesso detto – contribuì anche uno stratega del Partito repubblicano di George Bush jr., Frank Lutz, noto, tra le altre cose, come inventore di definizioni di “nuovo conio” quali responsible exploration for energy al posto delle desuete e scarsamente amate trivellazioni di petrolio, oppure di “cieli puliti” per indicare l’assai poco green politica ambientalista del suo presidente. E già, perché, mettendo al centro dell’attenzio¬ne la “figurazione”, il frame permette di sconfinare tranquillamente, e senza rimpianti, nella langue de bois e nello spin doctoring. Basti a testimoniarlo la resiliente persistenza della nozione di “sgravi fiscali”, inventata dai repubblicani e gettata quale “arma fine di mondo” (nonché “di distrazione di massa”) nell’arena politica, costringendo i democratici a considerarla un tabù inviolabile. E, così, le narrative politiche degli anni Ottanta di Ronald Reagan si tramandano e strutturano in maniera irremovibile nel decennio dopo. Un motivo in più per pensare che il filo rosso (anzi, “azzurro”) che unisce i due periodi è stato più solido e saldo che mai…

 



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