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Renzi lo sa che il Jobs act è una tagliola per gli apprendisti?

Tra gli effetti del Jobs act ve n’è uno, forse calcolato, forse sottovalutato, forse semplicemente ignorato che, più di altri, fatico a comprendere: la condanna a morte degli apprendisti.

Non si tratta di un “danno collaterale” da poco perché impatterà su migliaia di giovani che hanno guardato avanti, che hanno investito tempo ed impegno, che hanno accettato salari più bassi e una minore stabilità del rapporto pur di poter crescere professionalmente, di poter imparare lavorando,  di costruirsi più solide basi per il futuro.

Giovani che si sono fidati di quello che veniva loro ripetuto come un mantra fino a poco più di due anni fa, ai tempi della legge Fornero: il contratto di apprendistato sarà valorizzato e rappresenterà la “modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro”.

Quei giovani, al termine del periodo di apprendistato, ora rischiano di non essere confermati e di essere lasciati a casa.

Non occorre la sfera di cristallo per prevederlo, né un grosso sforzo di fantasia. La ragione è semplice: con il Jobs act ai datori di lavoro non conviene proseguire il rapporto con gli apprendisti già in forza, per lo più assunti tra il 2010 e il 2012, il cui periodo formativo termina quest’anno: questi lavoratori non fruiscono infatti dell’esonero contributivo previsto dalla legge di stabilità e, sebbene soggetti al nuovo regime di “tutele crescenti”, partono già con una maggiore anzianità di servizio e quindi con un livello di protezione più alto di chi inizia da zero.

Molto più comodo allora un assumere un diverso lavoratore con il nuovo contratto a tutele crescenti, che porta in dote un bonus fono a 8.060 € annui e che permette nei primi anni una maggiore facilità di licenziamento.

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