Pochi giorni ancora, fino al 26 aprile, per la mostra allestita nelle sale della Casa di Goethe, in via del Corso: “Mario e il Mago”, curata da Elisabeth Galvan, è nata in occasione del sessantesimo anniversario della morte e del centoquarantesimo anniversario della nascita di Thomas Mann (1875-1955).
Un’esposizione che racconta, con il titolo Mario e il Mago, uno degli scrittori di maggior rilievo della letteratura europea del Novecento, e premio Nobel del 1929. Le quattro sezioni dell’esposizione illustrano la genesi della celebre novella, tra cui i soggiorni della famiglia Mann a Forte dei Marmi, il retroscena politico nonché la fortuna di Mario e il Mago in Italia, con una sala dedicata all’Azione coreografica tratta dal racconto che Luchino Visconti realizzò al Teatro della Scala nel 1956. La rassegna romana vanta prestiti dal Buddenbrookhaus di Lubecca, oltre che da istituzioni italiane, per far conoscere l’Italia degli anni venti del secolo scorso.
Ispirato a Mann da un episodio avvenuto durante un soggiorno in Versilia nel 1926, Mario e il mago vede la luce solo nel 1929, quando le ombre del nazionalsocialismo si allungano sulla Germania e la vicenda dell’ipnotizzatore Cipolla, che durante le sue performances serali soggioga e manipola il pubblico, diventa metafora del clima contemporaneo. Eppure questo straordinario racconto non ha mai avuto vita facile in Italia. Giudicato sin dalla sua prima pubblicazione nel 1930 racconto “anti-italiano”, per motivi di censura poté apparire in traduzione solo nel 1945. Trascurato dalla critica, il racconto ha però stimolato l’interesse creativo di tre grandi artisti: molto prima della trasposizione cinematografica della Morte a Venezia Luchino Visconti compose, nei primi anni ’50, l’ “Azione coreografica” in due atti Mario e il mago con musica di Franco Mannino e coreografia di Léonide Massine. Il balletto venne rappresentato con grande successo alla Scala di Milano nel febbraio 1956. La mostra presenta per la prima volta una scelta dei bozzetti e dei figurini che la grande scenografa e collaboratrice di Visconti Lila de Nobili ha realizzato per lo spettacolo.
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Al Museo Bilotti di Villa Borghese si possono ammirare le fotografie di Maurizio Orrico. “Light Shapes – Between Berlin and Beijing” presenta una ventina di opere dell’artista calabrese, per la curatela di Italo Zannier, un evento promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura e al Turismo – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, realizzato da Password Onlus e Dreams’ Thief con il patrocinio della Fondazione Carical. Per un viaggio ideale che fa della luce un linguaggio trasversale, in grado di raccontare con la medesima enfasi carica di empatia luoghi tra loro diametralmente opposti. Tra Berlino e Pechino, luoghi feticcio dei nuovi assetti politico-economici mondiali, troviamo il mondo intero, per quello che Zannier definisce come “un “diario di viaggio”, eseguito usando diversi strumenti, dalla digitale alla Leica, ma che non presenta un modello didascalico”.
Un peregrinare emotivo ed intuitivo, dunque, che vede Orrico passare dalla Francia agli Stati Uniti, dall’Italia alla Grecia, disegnando un’ideale mappa di luoghi del cuore, “concepita per atmosfere che le immagini trasmettono indipendentemente dal soggetto, dall’anno di esecuzione o dal percorso geografico”. All’indagine fotografica si lega il gruppo scultoreo de I viaggiatori, che espande nelle tre dimensioni la riflessione dell’artista sulla nostra percezione del tempo e dello spazio.
Orrico ci mostra dettagli che sanno essere insieme estremamente particolari e universali. Gli scorci dei quartieri popolari di Pechino, i grovigli di cavi elettrici che scorrono tra un tetto e l’altro ad oscurare cieli saturi di fuliggine, sanno da un lato restituire la stringente attualità della capitale cinese e dall’altro realizzare torbide premonizioni catastrofiste alla Blade Runner. Così come le geometrie di Berlino, con i profili delle più recenti architetture a tagliare spigolosi l’orizzonte, sono sì il ritratto di un luogo risorto dalle proprie ceneri, ma al tempo stesso sembrano alludere all’utopia di una città ideale. Fino al 26 aprile.