Caro direttore, ho visto una corale indignazione per il fatto che alla Camera venerdì scorso erano presenti ben pochi deputati nel corso dell’audizione del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, sulla morte del cooperante italiano, Giovanni Lo Porto.
Indignazione giusta. Ma frutto di una fissazione giornalistica che da anni si concentra sui palazzi romani, in particolare sulle Camere, per raffigurarli come emblema di una Italia marcia, dunque – implicitamente – di una società linda e corretta che deve subire le angherie da casta dei tanto vituperati politici. Magari è così.
Però io che sono più attento alla vita che non ai palazzi, anche se la professione mi induce a occuparmi dei palazzi, vi racconto questo. Non è una notizia, non è una inchiesta, non è neppure una analisi ma è un fatto che dovrebbe essere foriero di riflessioni.
Parliamo di scuola, caro direttore. No, un attimo, non parlo della contestazione alla festa dell’Unita’ del ministro dell’Istruzione e della ricerca, Stefania Giannini. Parlo di quello che milioni di famiglie hanno vissuto venerdì scorso, forse. I figli che frequentano scuole medie e licei vanno a scuola. Dopo un po’ tornano a casa – quelli che tornano, gli altri fanno quello che vogliono. Perché? Ecco la risposta che hanno fornito i miei tre figli. Prima risposta: “I professori hanno scioperato di nuovo. Evviva”. Seconda risposta: “Wow. Avevamo una verifica scritta ma i prof non volevano lavorare. Grandi”. Terza risposta: “Ci hanno detto che i prof hanno voluto scioperare. Non so perché. Ma tanto chissenefrega”.
Caro direttore, io dopo queste risposte sono triste. E preferisco non aggiungere altro. Magari qualche analista, commentatore, editorialista, scrittore e saggista che leggo su Formiche.net vorrà spiegarmi che razza di generazione stiamo allevando. E se noi genitori e i professori si rendono conto della catastrofe civile che implicano quelle risposte.
Grazie dell’attenzione e cordiali saluti
Leo Soto