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Tutte le sfide per la sicurezza che uniscono Occidente e Islam

Le politiche messe in atto da Unione Europea e Stati Uniti per fronteggiare le nuove minacce terroristiche sono adeguate a uno scenario ricco di interrogativi e incognite soprattutto in Medio Oriente e Nord Africa?

È il tema che ha animato il convegno “Le sfide della sicurezza in Europa”, promosso ieri dalla Foundation for a Europe of Liberties and Democracy presso la Sala Zuccari del Senato della Repubblica.

Critiche autorevoli all’accordo sul nucleare iraniano

Per capire la portata dei pericoli che possono coinvolgere Europa e Occidente, rileva il presidente della Feld ed ex parlamentare della Lega Nord Fiorello Provera, è sufficiente leggere i rilievi critici verso il protocollo di intesa con l’Iran sulla ricerca e produzione di energia nucleare mossi sul Wall Street Journal dagli ex segretari di Stato Usa Henry Kissinger e George Shultz.

Accordo che a loro giudizio alimenterebbe le aspirazioni di Teheran all’egemonia nel Medio Oriente, le minacce nei confronti di Israele, la spinta all’acquisizione di armi atomiche da parte dell’Arabia Saudita.

Le foto dal convegno

Di Giovanni Pulice

Come colmare il vuoto di una strategia Usa in Medio Oriente

L’errore compiuto dagli occidentali, rimarca il vice-presidente del Comitato parlamentare sui servizi di intelligence e senatore di Area Popolare Giuseppe Esposito, è aver ritenuto l’Islam un corpo uniforme: “Mentre si tratta di una grande religione strumentalizzata da poche migliaia di persone – i fautori del Califfato – assetati di potere e denaro”.

Scenario, prosegue il rappresentante del Nuovo Centro-destra, che richiede l’assunzione di una responsabilità cruciale da parte dell’Unione Europea “visto che gli Usa non hanno più la testa rivolta verso il Medio Oriente”. Ma il vuoto lasciato dalla diplomazia statunitense – spiega – non è stato colmato dall’Ue, capace di abbandonare a se stessa la Turchia e di trasformare la Bosnia in “autostrada della jihad”.

Ai suoi occhi l’unica strada percorribile comporta l’organizzazione di un tavolo di pace e dialogo con tutti i governi moderati dei paesi musulmani: “Azione molto più efficace rispetto a iniziative militari azzardate che rischiano di destabilizzare ulteriormente i teatri di guerra soggetti all’offensiva dell’Isis”.

“L’Ue recuperi il rapporto strategico con Turchia e Tunisia”

Ciò che manca del tutto, rileva il presidente della Commissione Esteri di Palazzo Madama e fondatore dell’Unione di Centro Pierferdinando Casini, è una politica europea per il Mediterraneo: “Lo prova l’atteggiamento oscillante dell’Ue verso il negoziato di adesione della Turchia. Ambiguità che ha provocato l’allontanamento del governo di Ankara da un legame con il mondo democratico”.

Allo stesso modo, evidenzia l’ex presidente della Camera, Bruxelles non può restare indifferente al percorso intrapreso dalla Tunisia “avamposto dell’Europa in Nord Africa”. E non può assistere inerte alla “guerra per procura” portata avanti nello Yemen tra l’alleanza sunnita capeggiata da Arabia Saudita e Egitto e il mondo sciita che guarda all’Iran.

Il ruolo nevralgico dell’Egitto di Al-Sisi

Rispetto a tale scenario, ricorda l’omologo di Casini a Montecitorio Fabrizio Cicchitto, le amministrazioni americane hanno compiuto errori clamorosi: “A partire dall’intervento armato contro l’Iraq di Saddam Hussein, che ha favorito l’avvento del governo sciita settario di Al-Maliki e il fiorire dell’integralismo terroristico sunnita. E proseguendo con la Siria, in cui la rinuncia a ogni contatto con Bashar Al-Assad è stata affiancata dall’abbandono della resistenza al regime baathista. Scelta che ha lasciato campo libero alle frange più violente e fondamentaliste come lo Stato islamico”.

Per tale ragione l’ex esponente del Partito socialista ritiene nevralgico il ruolo esercitato dal presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi, “il quale ha prospettato un’alternativa culturale e religiosa arabo-musulmana al fanatismo”. Allo stesso modo, aggiunge, è essenziale un Piano Marshall verso quelle aree così come un’opzione militare contro i fautori del Califfato.

Una proposta per salvare la Siria dal terrorismo jihadista

Un punto di vista meritevole di attenzione da parte delle cancellerie occidentali è offerto da Siwar Al Assad, vice-presidente del partito siriano Unda-Alleanza democratica nazionali uniti e cugino di Assad.

Fortemente persuaso della necessità di promuovere un cambiamento graduale e pacifico in Siria tramite il confronto tra regime e forze laico-moderate dell’opposizione per creare un governo di transizione in grado di porre fine alla guerra civile, il giovane politico resta scettico sulle iniziative militari per sconfiggere il terrorismo dell’Isis.

“Fenomeno – osserva – ideologico, distruttivo e perverso, che permea i foreign fighters reclutati facilmente grazie a una gestione efficace dei social network”.

“Una polizia internazionale contro il terrore islamista”

Un’angolatura differente emerge nel ragionamento di Rafael Eitan, a lungo agente del Mossad israeliano con cui nel 1960 approntò e realizzò il rapimento in Argentina del gerarca nazista Adolf Eichmann che sfociò nello storico processo di Gerusalemme.

Consigliere per le strategie anti-terrorismo dell’ex premier dello Stato ebraico Menachem Begin, egli ritiene che la violenza perpetrata dal fanatismo di matrice musulmana possa propagarsi ottenendo le risorse necessarie da “nazioni-base” come Iraq, Siria e Iran.

A suo avviso è pertanto necessario creare una forza di polizia internazionale in grado di neutralizzare il terrorismo ovunque: “Organismo che forse potrà essere realizzato tra 20 anni, sulla spinta del timore provocato nei governi occidentali dal possesso dell’arma nucleare nelle mani di Teheran”.

“No a interventi militari”

Ricetta molto lontana rispetto a quella indicata dall’ex Presidente del Consiglio Lamberto Dini. Per il quale l’Ue ha il compito di recuperare un rapporto costruttivo con la Russia per affrontare le sfide geopolitiche provenienti da Est e da Sud.

Per sbloccare lo stallo delle Primavere arabe nel Medio Oriente e in Nord Africa, l’ex ministro degli Esteri reputa essenziale appoggiare le forze moderate del mondo arabo più avverse nei confronti del terrorismo islamico. Strategia che si traduce in un No a interventi militari occidentali: “Tanto meno in Libia, il cui conflitto fratricida deve essere risolto dalle forze in campo”.

“Netanyahu rende impossibile la pace tra israeliani e palestinesi”

La strada prospettata dall’ex direttore generale della Banca d’Italia contempla il coinvolgimento dell’Iran “in un ruolo responsabilizzante di equilibrio regionale riconosciuto con gli accordi di Losanna”, il blocco delle fonti di finanziamento del Califfato, la ripresa dei negoziati di pace tra Israele e Autorità nazionale palestinese.

Trattativa, precisa polemicamente Dini, impensabile finché Benjamin Netanyahu resterà alla guida del governo di Tel Aviv: “Non possiamo farci illusioni sull’attuazione della formula ‘Due popoli, due Stati’ in presenza di un premier che coltiva il sogno della ‘Grande Israele’ allargata ai territori della Cisgiordania”.

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