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Tutte le soavi staffilate di Enrico Letta a Matteo Renzi

Come Romano Prodi con il racconto agrodolce della sua “Missione incompiuta”, appena pubblicato da Laterza, anche Enrico Letta ha servito freddo il suo piatto della vendetta. Egli ha colto l’occasione televisiva della presentazione di un suo libro –“Andare insieme, andare lontano”- per annunciare clamorosamente che a settembre si dimetterà “da questo Parlamento” ma “non dalla politica”, ha precisato.

La vendetta dell’ex presidente del Consiglio non è contro il Parlamento, in fondo incolpevole della sua comprensibile delusione, ma contro Matteo Renzi. Che poco più di un anno fa, ancora fresco di elezione a segretario del Pd, prima lo invitò pubblicamente a “stare sereno” e poi lo scalzò da Palazzo Chigi. Dove tuttavia Enrico Letta non si risparmiò un assaggio caldo di vendetta, passando al suo successore con ostentato malumore il campanello d’argento che i capi di governo da qualche tempo si scambiano nelle cerimonie di avvicendamento.

Il carattere polemico dell’annuncio di Enrico Letta deriva dal contesto, più ancora che dalla motivazione ufficiale, indicata nell’incarico di rettore di una scuola universitaria di affari internazionali, a Parigi, che egli ha deciso di accettare, preferendolo al pur compatibile ma per lui, evidentemente, non più gratificante mandato alla Camera.

Il contesto critico sta nell’esplicito dissenso dallo stile, se non anche dal contenuto dell’azione di governo del suo successore. Un dissenso già implicito in quell’avverbio “insieme” messo nel titolo del suo libro da Enrico Letta, e poco appropriato ai rapporti spesso sbrigativi di Renzi con gli alleati nel percorso necessariamente lungo del risanamento economico e delle riforme. Che anche l’ex presidente del Consiglio si era proposto di portare avanti con le cosiddette larghe intese imposte nel 2013 dall’infruttuoso risultato delle elezioni politiche, ma ridottesi già durante il suo governo, in verità, con il passaggio di Silvio Berlusconi all’opposizione. Un passaggio che avvenne per ritorsione contro la decadenza dello stesso Berlusconi da senatore per effetto di una sempre più discussa condanna definitiva per frode fiscale. Una sentenza della Corte di Cassazione infatti ha appena contraddetto, in un processo analogo, quella che nel 2013 costò il mandato parlamentare al leader dell’allora centrodestra.

Dalle riforme istituzionali volute fortemente da Renzi l’ancora per poco deputato Enrico Letta ha preso le distanze sostenendo il ruolo preminente del Parlamento sul governo, e non assicurando all’intervistatore Fabio Fazio, che lo incalzava su Rai 3, il voto a favore della nuova legge elettorale. Su cui farà in tempo a votare, appunto, e che è notoriamente contestata nel Pd dalle minoranze, compresa quella lettiana.

Al contesto polemico dell’annuncio delle dimissioni di Enrico Letta appartiene anche il particolare, rivelato dallo stesso Letta, dell’anticipazione fattane di recente solo al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in un incontro dal quale egli si è sentito “rincuorato”.

Polemico appare infine il puntiglio con cui Enrico Letta ha indicato nella sua attività accademica la prova del carattere non professionale o esclusivo ch’egli attribuisce all’attività politica, e che gli sembra forse impersonato ormai dal suo successore a Palazzo Chigi, più giovane di lui ma già reduce dalle esperienze di presidente della provincia di Firenze e di sindaco.

A 49 anni ancora da compiere, di poco superiori in fondo ai 40 compiuti in gennaio da Renzi, l’ex presidente del Consiglio, nonchè ex vice segretario del Pd, sembra proporsi già come una riserva della Repubblica. Magari pronto, se le circostanze gli dovessero essere offerte dalla politica, a diventare antagonista di Renzi al governo o nel partito, o in entrambi, a dispetto della sicurezza ostentata dall’attuale presidente del Consiglio e segretario del Pd. Che vive di forza propria, ma forse più ancora della debolezza, delle divisioni e persino della inconsistenza degli avversari, fuori e dentro il suo partito.

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