Cara signora Giannini, ministro della Pubblica Istruzione,
possibile che di fronte alla generale e crescente protesta del pianeta scuola, contrario alla sua proposta di riforma improvvisata, pasticciata, inadeguata l’unica cosa che è riuscita ad affermare è stata: “lo sciopero della scuola è politico, contro il governo”. E’ corretto che al cospetto di uno sciopero molto esteso, con percentuali altissime in buona parte d’Italia, Ella sostenga che si tratta solo di una dimostrazione politica? Non so se ha avuto esperienza di governo in precedenza, ma si è mai misurata con gli umori professionali e popolari del Paese? Non si fa politica, tanto meno si governa, per soddisfare la propria vanagloria. Lo comunichi anche alla giovane Boschi, tuttologa del governo di Renzi, che con superficialità e poco senso delle istituzioni demonizza i sindacati della scuola. Che alto concetto di democrazia che hanno i rottamatori! Esponenti politici che irridono allo sciopero di qualsivoglia categoria di lavoratori e costato alle tasche dei partecipanti, giusto o sbagliato che sia, non possono guidare dicasteri fondamentali. La scuola è un settore importante e strategico per la crescita culturale, sociale, economica dei nostri giovani e non può essere affidato a personaggi, che poco conoscono la storia dell’organizzazione scolastica in Italia, dalla legge Casati ad oggi, dal centro e fino alla più piccola istituzione scolastica periferica. Ministri di ben altro calibro in passato, con dichiarazioni simili alle sue, sbrigative e di sufficienza, sarebbero stati costretti alle dimissioni.
Ministro, dove si trova l’ubi consistam della riforma Renzi-Giannini?
Nella chiamata diretta degli insegnanti da parte dei capi d’istituto o nel monte di ore di canto, musica, arte, educazione fisica? No, forse nell’assunzione di decine di migliaia di precari(docenti e non docenti) e dei tanti presidi che da tempo, dopo aver sostenuto con successo un sacrosanto concorso ancora non vengono immessi in ruolo? No, una roba del genere non può ampollosamente essere chiamata riforma.
Per ciò che concerne il potere ai presidi, nuovi “deus ex machina”, di poter assumere direttamente è un passo indietro di fronte alla buona pratica dei pubblici concorsi, e del sistema di valutazione dei curriculum e dei titoli. Accadrà come negli ospedali pubblici italiani: il direttore generale, con potere di vita e di morte, nomina i primari dei vari reparti senza concorso e con una buona dose di gradimento politico. E’ quasi regola che questa pratica confrontata con le abbandonate selezioni concorsuali del passato non dà buoni risultati. Accrescere il potere dei presidi sottintende il ripristino del potere centralistico-assoluto che soppianta quello collegiale esistente. Aboliamo il Senato, cancelliamo le province, modifichiamo la legge elettorale con un premio di maggioranza abnorme, la via verso il rafforzamento del (capo del governo) potere dell’esecutivo che prevale sul legislativo è tracciata.
L’aumento poi del monte ore in alcune discipline ha il sapore del classico provvedimento di tipo elettorale e clientelare: serve forse a sistemare un po’ di gente, che dovrà dimostrare gratitudine al momento opportuno.
Le nomine dei precari e del personale in genere sono il vero problema, va affrontato con rapidità e intelligenza recuperando le necessarie risorse per l’ immissione in ruolo, senza però scomodare il roboante termine riforma, altrimenti la questione s’ingarbuglia. E’ così da sempre, di fronte ai tanti esodi e pensionamenti l’amministrazione scolastica organizza il turn over, assumendo un certo numero di personale (ATA, Dirigenti, Docenti, Tecnici). Sono decisioni di tipo ordinario, altro che riforma rivoluzionaria, basta avere disponibilità finanziarie, spazio nelle piante organiche e l’approvazione della Corte dei conti. Funziona da decenni in tal modo e non mi pare che siano cambiate le regole ministeriali.
Senatrice Giannini, non dimentichi che prima di Lei donne e uomini illustri, ministri a viale Trastevere, hanno guidato con mano ferma e senso di responsabilità leggi di riforma degne di essere definite tali. Solo alcuni nomi, dal 1995 ad oggi: Berlinguer, De Mauro, Moratti, Fioroni, Gelmini, Carrozza. Come vede Ella arriva buon ultima e la scuola italiana non è ferma all’insegnare a leggere, a scrivere e a far di conto. Ministro, rivisiti con calma le sue convinzioni in materia di organizzazione scolastica, di pedagogia e didattica, di storia della scuola in Italia dal 1861 ad oggi, ne tragga indicazioni utili, coerenti con l’evoluzione della vita degli italiani e poi proceda ad una vasta consultazione con i docenti, le figure fondamentali che fanno camminare la scuola, nonostante trattamenti economici ridicoli, coi sindacati e con tutti gli operatori interessati a far crescere il capitale umano nel nostro Paese. Globalizzazione, immigrazione, integrazione sociale, culturale, economica, religiosa e poi la povertà, il capitalismo moderno sono questioni che una legge di riforma sull’ordinamento scolastico deve valutare con coraggio e senza ipocrisie. Parlare di riforma della scuola non vuol dire porre toppe a destra e a manca con qualche decreto o disegno di legge, ma affrontare il problema alla radice.