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Come cambiare le istituzioni dopo il Renzellum?

Gaetano Quagliariello

Matteo Renzi è uscito vincitore dalla partita sulla riforma elettorale. Ma la sfida con gli avversari esterni e interni al Partito democratico nel terreno istituzionale non è terminata. La battaglia cruciale, più che mai ricca di incognite per il premier, deve ancora iniziare.

Lo scenario aperto sulla riforma costituzionale

L’appuntamento è previsto tra poche settimane a Palazzo Madama. Cornice nella quale riprenderà il confronto sul percorso di revisione costituzionale a partire dal ruolo del Senato. Un progetto a cui è vincolato il futuro del meccanismo di voto.

E sul quale l’agguerrita minoranza del Nazareno, fondamentale per la tenuta della maggioranza con i 25 rappresentanti vicini a Pier Luigi Bersani, è pronta a giocare le proprie carte.

“Non avere paura dello spettro di derive plebiscitarie”

È in vista di un dibattito tanto atteso che il coordinatore del Nuovo Centro-destra Gaetano Quagliariello ha promosso sul sito della Fondazione Magna Carta un confronto tra studiosi.

Nel suo intervento – intitolato “Il tempo e gli spazi delle riforme” – l’ex ministro rileva che “il cambiamento del Titolo V della Costituzione, il superamento del bicameralismo paritario e l’Italicum producono un mutamento della forma di governo”. Ed esorta ad affrontare il tema dei bilanciamenti istituzionali “senza temere lo spettro della deriva plebiscitaria”.

“Le risposte mancate sul nuovo Senato”

L’argomento prioritario, replica il professore di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università “La Sapienza” di Roma Cesare Pinelli, riguarda le prerogative del Senato: “La riforma costituzionale non fornisce risposte convincenti sulla capacità della futura Camera alta di farsi portavoce delle autonomie locali a livello nazionale”.

Limite analogo, osserva lo studioso, vale per le regole elettorali: “Tutti se ne occupano guardando esclusivamente ai consensi attuali di partiti e leader di partito, come se tra cinque anni saranno gli stessi di oggi”.

“Il premier è privo di poteri adeguati”

Molto più ampie le lacune del percorso innovatore a giudizio di Ciro Sbailò, professore di Diritto pubblico comparato all’Università “Kore” di Enna.

La saldatura tra meccanismo di voto e revisione costituzionale, spiega il giurista, prefigura un rafforzamento della maggioranza e del premier in Parlamento. “Tuttavia mancano elementi coerenti con un regime che presenta affinità con quello britannico: il riconoscimento al primo ministro di un ruolo centrale nella formazione del governo e nella durata della legislatura”.

“I giusti bilanciamenti costituzionali”

Lo studioso formula i contrappesi che possono equilibrare il peso del premier e dell’esecutivo: “Il consolidamento del potere di rinvio delle leggi da parte del Presidente della Repubblica, l’inserimento nella Carta repubblicana dei diritti delle minoranze parlamentari, il controllo preventivo di costituzionalità su leggi elettorali e regolamenti delle Camere da parte della Consulta, il rafforzamento dell’iniziativa popolare legislativa e l’introduzione del referendum propositivo”.

“Il brutto anatroccolo Italicum può trasformarsi in cigno”

Il costituzionalista non condivide la filosofia ispiratrice del Renzellum, “fondato sull’attribuzione di un premio di maggioranza a ‘freddo’ e a prescindere dalle dinamiche del consenso politico”.

Anziché ricorrere a un meccanismo che “favorisce alleanze finalizzate a vincere il bonus ma non in grado di governare”, lo studioso propone la “lista flessibile” vigente in Austria, Norvegia, Svezia. E che permette a un determinato numero di cittadini di modificare l’ordine di candidati presentati dalle forze politiche in un territorio.

Tuttavia “il brutto anatroccolo dell’Italicum può rivelarsi un cigno” grazie alla “razionalizzazione dei poteri del premier e una previsione dei contrappesi adeguati”.

“Valorizzare la centralità del Parlamento bicamerale”

Fortemente ancorato alla visione ispiratrice della Costituzione del 1948 è il ragionamento di Giuditta Brunelli, professoressa di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università di Ferrara.

Il Parlamento – scrive la studiosa – è il perno del modello istituzionale italiano con il suo carattere rappresentativo, collegiale, pluralistico. Nel quale promuovere il confronto e ricercare il compromesso tra le forze politiche.

Ne scaturisce un rinnovato bicameralismo in cui, “rispetto a una Camera titolare del rapporto fiduciario con il governo e garante delle prerogative delle minoranze, il Senato costituisca il luogo di espressione e composizione degli interessi territoriali nella dimensione nazionale”.

“Le distorsioni della legge elettorale”

La costituzionalista non apprezza i tratti distintivi delle nuove regole elettorali.

Rimarca che i capilista bloccati e le candidature multiple non garantiscono ai cittadini un adeguato margine di scelta dei loro rappresentanti: “E provocano disparità tra gli elettori del partito vincente, che avrebbero la possibilità effettiva di incidere sulla composizione del gruppo parlamentare attraverso l’uso delle preferenze, e i sostenitori delle altre formazioni”.

Notevoli riserve suscita inoltre “la consistenza rilevante del premio di maggioranza, che produce un’eccessiva divaricazione tra la formazione dell’organo della rappresentanza politica e la volontà popolare”.

“La politica italiana rifiuta il collegio maggioritario”

Brunelli avrebbe preferito di gran lunga l’adozione del maggioritario con collegi uninominali a due turni, “capace di agevolare la costruzione di coalizioni robuste e coerenti, trasformare la forma partito, favorire il rapporto tra parlamentari e cittadini di un territorio, incoraggiare la celebrazione di elezioni primarie per la selezione delle candidature”.

Un modello che, ricorda la studiosa, incontra un rifiuto trasversale nella classe politica del nostro paese: “Propensa a ricercare la stabilità delle maggioranze e degli esecutivi attraverso meccanismi ibridi e inediti, dei quali è difficile prevedere gli effetti”.

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