Prosegue la tensione in Libia. Il generale Khalifa Haftar, a capo dell’esercito libico, ha confermato di aver bombardato un mercantile turco a 10 miglia dalle coste del Paese nordafricano. Il cargo era diretto a Derna e avrebbe contravvenuto agli ordini dei militari di non avvicinarsi alla città, controllata parzialmente da milizie che hanno giurato fedeltà allo Stato Islamico. Il bilancio, fino ad ora, è di un ufficiale morto e altri membri dell’equipaggio feriti.
VERSIONI CONTRASTANTI
Per il governo di Tobruk, autorità della Libia riconosciuta dalla comunità internazionale, il cargo Tuna-1 è stato colpito dall’aviazione mentre si trovava in acque territoriali libiche. Ankara sostiene invece che la nave sia stata attaccata mentre ancora era in acque internazionali e chiede perciò l’apertura di un’indagine propedeutica alla richiesta di un risarcimento.
LA FOTO DEL CARGO
(fonte: twitter/NewsOnTheMin)
LA POSIZIONE TURCA Per il momento è solo un’ipotesi, ma è possibile che dietro la foga dell’aviazione di Tobruk ci sia qualcosa di più della reazione ad uno sconfinamento in acque libiche. “La Turchia – spiega a Formiche.net Mattia Toaldo, analista presso lo European Council on Foreign Relations di Londra – sostiene il governo di Tripoli contro quello di Tobruk, sostenuto a sua volta dall’Egitto”. Non è ancora chiaro se si intenderà procedere a indagini approfondite che possano stabilire attraverso sistemi di rilevamento presenti sulla nave, dove si trovasse effettivamente il cargo.
DIALOGO DIFFICILE
“Piuttosto”, prosegue l’esperto, “è improbabile che le Forze di Haftar avrebbero avuto la stessa reazione se Tuna-1 avesse battuto bandiera egiziana”. Cosa accadrà adesso? “Dubito – rimarca Toaldo – che la situazione degeneri. Non converrebbe a nessuno. Però questo attacco potrà avere l’effetto di togliere alla Turchia ogni incentivo ad essere cooperativa nei confronti di una soluzione pacifica del dossier libico. A Tripoli qualcuno si starà leccando i baffi per questo incidente”.
IL SEGNALE PER L’EUROPA
La vicenda, però, ha forse qualcosa da insegnare anche a Bruxelles e Roma. Proprio oggi, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, sta illustrando alle Nazioni Unite il piano d’emergenza dell’Ue sulla questione della Libia, dei migranti nel Mediterraneo e del problema dei trafficanti di esseri umani. Il testo avrebbe già avuto il via libera di Francia, Regno Unito, Spagna e Lituania (i Paesi europei nel Consiglio di sicurezza) e dovrebbe fondarsi sul Capitolo 7 della Carta Onu, che prevede l’uso della forza come ultima possibilità. Anche la Russia, membro permanente del Consiglio, sarebbe favorevole a una risoluzione, a patto che i barconi non vengano bombardati per via aerea. Chi si oppone a questo genere d’intervento sono invece le stesse fazioni libiche, divise su tutto ma unite nella volontà di non tollerare ingerenze occidentali nel Paese. L’ambasciatore libico all’Onu, Ibrahim Dabbashi, ha detto venerdì scorso che la Libia non accetta (per ora) che l’Europa possa condurre azioni nelle sue acque territoriali. La strada diplomatica, dunque, si profila in salita, anche perché – come dimostra l’attacco al cargo turco – le Forze libiche potrebbero facilmente reagire in modo poco amichevole a un intervento occidentale non concordato in modo adeguato con Tobruk, Tripoli e con i principali attori regionali.