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Così la Consulta ha rottamato la tassa sulle sigarette elettroniche

Non erano bastati il Tar prima (più volte) e il Consiglio di Stato poi. Ieri è toccato direttamente alla Corte Costituzionale intervenire sul tema delle sigarette elettroniche che si trascina ormai dal 2013. La Consulta infatti, dopo una relazione svolta dal giudice ed ex presidente del Consiglio Giuliano Amato (che di tasse se ne intende), ha dichiarato illegittima la mega tassa sulle e-cig che era stata istituita col decreto legge 76/2013 “IVA e Lavoro” per finanziare con 117 milioni di euro lo spostamento in avanti dell’aumento Iva.

IL NODO DEL CONTENDERE

Il decreto aveva di fatto equiparato le sigarette elettroniche a quelle tradizionali, decidendo di applicare lo stesso livello impositivo su liquidi (con e senza nicotina) e hardware, e lo stesso tipo di regole (depositi fiscali, autorizzazione, regime tariffario dei prezzi). In fase di conversione del decreto erano stati anche applicati i divieti di “fumo” e di pubblicità delle e-cig, poi abrogati con successivo provvedimento (che nel caso della pubblicità ha istituito una regolamentazione).

LA DECISIONE DELLA CONSULTA

I giudici ancora una volta sono intervenuti sui limiti legislativi alla discrezionalità tributaria, affermando in questo caso che le tasse sulle sigarette trovano “giustificazione nel disfavore nei confronti di un bene riconosciuto come gravemente nocivo per la salute”, ma “tale presupposto non è ravvisabile in relazione al commercio di prodotti contenenti “altre sostanze”” diverse dalla nicotina, e tanto meno quando si parla di normali device elettronici (ad es. cavi USB, batterie e persino custodie). Gli atti del ricorso, presentato dalle aziende di Anafe-Confindustria assistite dal prof. Fabio Francario dell’Università di Siena, erano stati inviati alla Corte dal Tar del Lazio nell’aprile del 2014 che aveva anche sospeso la tassa in questione ravvisando “profili di irragionevolezza”. La sospensiva era poi stata ribadita (con condizioni) dal Consiglio di Stato.

IL PASSAGGIO DEL TAR

I profili richiamati dal TAR sono stati confermati dalla Corte, che ha ritenuto contrario all’articolo 3 della Costituzione e «del tutto irragionevole, l’estensione, operata dalla disposizione censurata, del regime amministrativo e tributario proprio dei tabacchi anche al commercio di liquidi aromatizzati e di dispositivi per il relativo consumo, i quali non possono essere considerati succedanei del tabacco». A ciò, aggiunge la Consulta, si aggiunge «l’indeterminatezza della base imponibile e la mancata indicazione di specifici e vincolanti criteri direttivi, idonei ad indirizzare la discrezionalità amministrativa nella fase di attuazione della normativa primaria». La norma ‘bocciata’ «affida ad una valutazione, soggettiva ed empirica – la idoneità di prodotti non contenenti nicotina alla sostituzione dei tabacchi lavorati – l’individuazione della base imponibile e nemmeno offre elementi dai quali ricavare, anche in via indiretta, i criteri e i limiti volti a circoscrivere la discrezionalità amministrativa nella definizione del tributo». E tutto ciò è in contrasto con l’articolo 23 della Costituzione, il principio della “riserva di legge”.

LE CONSEGUENZE E GLI SCENARI

La sentenza della Corte Costituzionale, oltre a seppellire la tassazione 2014 sulle e-cig, provoca un buco da 117 milioni nelle casse delle Stato per lo scorso anno, anche se ieri sera il MEF si è affrettato a sottolineare che nel 2014 “il gettito registrato in un capitolo ad hoc” è risultato di “7.392 euro”, e che in seguito il decreto sulla tassazione dei tabacchi, in attuazione della delega fiscale, ha riordinato l’intera materia e superato il problema. Ma le cose non stanno del tutto così, secondo alcuni addetti ai lavori. Infatti, a causa del contenzioso in corso, il “buco” non era stato ancora registrato nel bilancio dello Stato. Inoltre, alcuni degli aspetti censurati dalla Consulta si rifletteranno sul recente Dlgs. 188/2014 di riforma del settore tabacchi che ha introdotto una nuova imposta di consumo parametrata al prezzo del tabacco (con uno sconto del 50%) e ad una complicata procedura di equivalenza tra e-cig e sigarette tradizionali, a seguito di cui l’ADM ha fissato l’imposta a 3,73 euro ogni 10 ml di liquido da inalazione con e senza nicotina.

LA PRESSIONE TRIBUTARIA 

Un livello di tassazione tale – e, caso unico al mondo, di fatto superiore a quello di un prodotto come il cosiddetto “tabacco riscaldato” (che sarà il prevedibile prossimo campo di battaglia del settore, secondo alcune indiscrezioni) – che ha spinto i consumatori ad approvvigionarsi da aziende e siti esteri (tema su cui né le norme né l’ADM sono intervenuti), così impoverendo aziende e negozi italiani, nonostante un mercato in grande crescita come nel resto del mondo, e l’ingresso nel settore (ma in tabaccheria) di Fontem Ventures, controllata da Imperial Tobacco, prima tra le multinazionali a compiere il salto, cui presto seguiranno le altre. Una norma fiscale disfunzionale quindi, come dimostra la proiezione di entrate di soli 11 milioni rispetto ai 112 attesi per il 2015, che solo una completa revisione (e riduzione) appare in grado di forse recuperare.

GLI ALTRI EFFETTI DELLA CONSULTA

Ma tornando alla sentenza, appare chiaro come una serie di elementi andranno ad inficiare irrimediabilmente l’attuale norma. Questa infatti include nella tassazione i prodotti senza nicotina dichiarati non tassabili dalla Corte, e anche sugli stessi sono state basate le prove di equivalenza rispetto alle sigarette tradizionali, che risulteranno quindi nulle di fronte al TAR Lazio, atteso a pronunciarsi sulla nuova norma a breve. Inoltre, punto passato in secondo piano ma fondamentale, la Corte ha ristretto notevolmente l’ambito di discrezionalità dell’ADM rispetto alla costruzione del livello impositivo, su cui invece l’Agenzia era anche stavolta entrata pesantemente, attirandosi le critiche degli operatori, che avevano prefigurato illegittimità e un nuovo buco in divenire nelle casse dello Stato.

DOSSIER POLITICO

In una durissima interrogazione parlamentare dell’aprile 2014 il vicepresidente PD della Commissione Bilancio del Senato, il senatore Giancarlo Sangalli, aveva attaccato duramente la norma bocciata dalla Consulta e la sua inapplicabilità, chiedendo anche lumi sui responsabili. Ma l’interrogazione è rimasta priva di risposta. Intanto però, dopo lo smacco delle pensioni, questo secondo siluro potrebbe costare caro a qualcuno. E anche per dare l’esempio (oltre che per aprire nuovi posti a nomine “gradite”) questa volta il rottamatore Matteo Renzi starebbe pensando di cogliere l’occasione per individuare le responsabilità. Ora la palla normativa passa ora al sottosegretario alle Finanze con delega ai Monopoli, Paola De Micheli, mentre la questione delle nomine rimane ben stretta nelle mani del renzianissimo Luca Lotti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Per l’intanto, “svapo libero” (o quasi).

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