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Così Sofia Ventura sfruculia Matteo Renzi

Leader on line, costantemente online, on line anche quando, con grande frequenza, è on air, Matteo Renzi ha pienamente immerso la propria leadership dentro a questo universo, un universo che con prepotenza ci costringe a prendere molto seriamente la nota scoperta di Marshall Mc Luhan che il «medium è il messaggio»,nel senso che il medium «forgia e controlla l’ampiezza e la forma dell’azione e dell’associazione umana» (2009, 9). E il sistema integrato e ibridato di vecchi e nuovi media forgia il pensare e l’agire politico. Renzi, un quasi-nativo digitale, interpreta questo fenomeno, lo rappresenta.

Dà forma alla propria politica innanzitutto all’interno del sistema mediatico entro il quale si è inserito, e il suo discorso pubblico diventa un discorso figlio di quel sistema, produttore di realtà. La realtà politica diventa il tweet del mattino e i retweet che riceve; l’annuncio fatto in occasione di una trasmissione di intrattenimento di una misura pensata per essere annunciata e rilanciata su social network, di nuovo tv e giornali; l’immagine – impressa nelle parole e nei fotogrammi – del leader al lavoro e della sua corsa su ogni piattaforma; le discussioni tra i fan, gli scettici e gli avversari nei social dove ogni cosa può essere detta senza essere argomentata; i sondaggi che misurano l’efficacia del racconto che si dispiega in quell’universo e che vengono utilizzati a loro volta come trofei o come clave nel discorso pubblico.

Dentro a quell’universo, in realtà, si trova di tutto, l’argomento circostanziato e l’invettiva, l’entusiastico sostegno e l’obiezione scettica. In potenza vi è anche lo spazio per il pensiero critico e una partecipazione consapevole, ma la partecipazione di massa e tendenzialmente orizzontale, nei tempi parossistici dello scambio reattivo e in tempo reale rispetto all’evento, certo non li esaltano. Spazio per fenomeni politici i più diversi, anche interessanti e innovativi, il sistema integrato dei media offre alla politica anche una modalità di rappresentarsi, che è poi una modalità di farsi, semplice, semplicistica, e in grado di creare adesione e consenso immediati nel presente continuo, dove a getto altrettanto continuo sono immesse in circolazione emozioni quali l’entusiasmo, lo sdegno, la commozione, l’ostilità, l’empatia e l’identificazione. In questo flusso il leader politico può inserirsi, non è obbligato a farlo, ma può farlo e il farlo con abilità può garantirgli un successo immediato, anche se da replicare costantemente.

Il Presidente del Consiglio, con il suo fiuto, il suo istinto, la sua capacità di trasformare l’evento in prova del proprio valore, con il suo abile procedere tattico, lo fa, perché, così a noi sembra, quel flusso e le sue regole gli sono congeniali. L’eterno presente, in particolare. Senza passato e che non richiede spiegazioni del passato, perché ciò che conta è oggi.

Si pensi alle due conferenze stampa delle quali abbiamo diffusamente parlato nei capitoli precedenti: la svolta buona e il passo dopo passo. La seconda non è motivata, spiegata, come una correzione della prima, come una revisione di una politica sulla base della rilevazione di errori o mutamenti misurati nel contesto sociale o economico. Essa si sovrappone e convive con la prima e trova la propria ragione qui ed ora, in sé stessa, perché in quel preciso momento la realtà raccontata è che per cambiare il Paese ci vuole tempo (ma il ritmo continua ad essere esaltato); ma non era così anche sei mesi prima, quando invece si diceva che era necessario fare tutto di corsa? Prima non esiste. O si pensi, ancora, alla missione di cambiamento rispetto a un passato negativo. Di quel passato non esiste una seria analisi,ma solo un indistinto «sono trent’anni, dieci anni, vent’anni che…», e perché no, anche «settant’anni».

Cosa è accaduto in quei decenni? Si facevano troppe chiacchiere, si facevano convegni con le tartine, i dirigenti scialavano come cicale mentre le famiglie facevano le formichine.Un passato indistinto (tutta l’età repubblicana, la Prima Repubblica, il ventennio berlusconiano intervallato dai tentativi del centrosinistra? E cosa nello specifico?) nelle fasi e negli accadimenti, senza la chiara identificazione di dinamiche, responsabilità, meccanismi viziosi. Perché quel passato serve solo a giustificare l’oggi, la rappresentazione che se ne fa è una costruzione fittizia finalizzata a legittimare l’azione qui ed ora. E ad essere tradotta in tormentoni adatti a Twitter e a frasi a effetto nelle interviste televisive, in trasmissioni più o meno pop.

In questa sua costruzione del discorso politico come se si trattasse di una discussione su Facebook,nel suo muoversi istintivamente, velocemente e tatticamente per comunicare sempre la cosa efficace al momento giusto, in un tempo velocissimo senza tempo, Renzi costruisce un racconto che se da un lato è potente perché promette di spazzar via nemici e vecchie abitudini, dall’altro appare meno ancorato alla percezione del reale rispetto a quanto avveniva con leader come Berlusconi e Sarkozy.

Tutto sommato, la polemica nei confronti dei «comunisti» e dei «sessantottini» evoca avversari più reali di quella contro «i gufi che par la nomale dell’Italia».
La costruzione di un racconto tutto interno al sistema mediatico così come lo abbiamo illustrato, tale per cui la mediatizzazione pare monopolizzare la produzione del medesimo, lasciando ben poco spazio ad un confronto con una realtà in qualche modo rilevata e misurata, la velocità con la quale costruisce sempre nuove interpretazioni del reale, resa possibile dall’ambiente mediatizzato contemporaneo che egli assorbe completamente nelle sue logiche, probabilmente anche un’esperienza esistenziale precedente all’ascesa politica nazionale meno ricca di fatiche, realizzazioni, immersioni nella concretezza delle sfide – che siano quelle dell’imprenditore o del politico che si costruisce nei decenni in un ambiente altamente competitivo e strutturato – fanno assumere alla narrazione di Renzi una dimensione più artificiale, meno ancorata a una realtà in qualche modo misurabile e che con il trascorrere del tempo rischia di allontanarsi dalla percezione che i cittadini possono avere della loro vita quotidiana. E il consenso comincia a calare.



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