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I black bloc? Servono nuove regole dello Stato (e la mamma di Baltimora). Parla Sechi

Vetrine in frantumi, auto incendiate, strade, banche e negozi devastati. È questo il bilancio degli episodi di violenza che hanno deturpato la città di Milano e rovinato la festa dell’Expo. I responsabili sono un gruppo di circa 500 black bloc provenienti da tutta Europa, armati di bastoni, spranghe e molotov, che si sono mescolati al corteo pacifico dei manifestanti “No Expo”, poco dopo la sua partenza.

Teppisti per i quali «ci sarebbe voluta la mamma di Baltimora: quattro schiaffi e via, si torna a casa a studiare. Sono sicuro che alcuni di loro, a distanza di qualche anno, sarebbero tornati a dirle “grazie, mi hai salvato la vita”». Ne è certo Mario Sechi, giornalista, firma del Foglio, commentatore di Mix24 (Radio 24) e 2Next (Rai2).

Sechi, come si è potuto verificare tutto questo?

«Partiamo dalle regole: c’è un vuoto normativo, che non riguarda solo l’Italia, per cui il diritto di manifestare è diventato un diritto dispotico: il diritto di una minoranza diventa un diritto totalitario. Così tutti gli altri diritti, quelli tutelati da qualsiasi società liberale, diventano diritti secondari, addirittura spariscono e vengono sostituiti dal coprifuoco. E tutto appare “normale”. Il concetto di libertà stessa viene stravolto al punto da sfociare in prevaricazione».

Lei è d’accordo con chi, come il capo della Polizia Alessandro Pansa, sostiene che la tattica adottata per l’ordine pubblico è stata vincente ed ha evitato il peggio?

«La dichiarazione di Pansa non fa una piega. Dal suo punto di vista, certamente poteva andare peggio. Paradossalmente –  e sottolineo, paradossalmente – si può dire che sia andata bene. Tuttavia, se vogliamo fare un’analisi seria e compiuta, dobbiamo pensare a quello che si chiede l’uomo della strada: “Se io oggi prendo una mazza e vado a sfasciare un paio di vetrine e poi do fuoco a due tre macchine, cosa mi succede?”. Risposta: mio caro uomo della strada, succede che ti arrestano subito, cosa che non è capitata, per ragioni di scelta tattica, a quasi tutti i delinquenti di Milano».

Perché, secondo lei?

«C’è stata una sorta di sospensione del dirittoSi interviene dopo per evitare il peggio. Ma questo crea un sentimento di forte spaesamento nel cittadino che tutti i giorni osserva la legge. Questo oggettivamente non va bene, è un problema serio di percezione della legge, dello Stato di diritto. Eppure, essendo un inguaribile realista, mi chiedo: cosa avrebbe potuto fare di diverso la polizia, in Italia, con tutti i lasciti avvelenati che ci sono stati, l’eredità del G8 e via discorrendo? Quello che le forze dell’ordine si sono limitate a fare è stato contenere i danni e aspettare che la cosa si esaurisse, come è stato. Siamo di fronte a molti paradossi che potevano avere, però, solo questa soluzione. Capisco che sia una realtà difficile da accettare. Certamente ingiusta, fuori dalla legge. Però voglio aggiungere una cosa…».

Quale?

«Expo è una grande sfida e questo episodio – gravissimo – non impedirà alla manifestazione di essere un successo. L’apertura è stata per tutti una lieta sorpresa. E’ l’Italia che ce la fa e tutti dobbiamo concorrere a quest’avventura. Ci giochiamo molto più di quanto immaginiamo. Siamo sotto i riflettori del mondo, è l’immagine del nostro Paese in ballo”.

Capisco. Ma come si dovrebbero affrontare situazioni del genere, dal punto di vista dell’ordine pubblico?

«Serve un coordinamento delle polizie europee che è evidentemente insufficiente. Allo stato attuale, si prefigurano tre possibilità di azione. 1) Accettare questi episodi così come sono, tenendo in conto che in concomitanza di manifestazioni di interesse globale possano verificarsi questo tipo di incidenti; 2) Limitare le manifestazioni pubbliche, ma dal mio punto di vista non è opzione consigliabile dato che siamo in una società liberale; 3) Valutato lo scenario e, se serve, modificare i luoghi e le date in cui sono organizzate le manifestazioni. Se la tua idea-contro è buona, vale anche il giorno dopo, non scade. In questo caso specifico, perché si è permessa una manifestazione del genere proprio il giorno dell’apertura dell’Expo, nel centro di Milano? Per me questo è irragionevole e, aggiungo, contro l’interesse della nazione. Expo non è un avvenimento qualsiasi, ma un appuntamento dove l’Italia si mette in gioco al cospetto del mondo».

E a livello strategico?

«A tal proposito, faccio mia una domanda che si pone un amico, una persona saggia dalla quale c’è sempre da imparare, Emanuele Macaluso, che si chiede come mai se è così facile per i black block infiltrarsi nelle manifestazioni, non sia possibile fare la stessa cosa per le forze di polizia mimetizzandosi i manifestanti. Macaluso parla con cognizione di causa, è un signore che organizzato i funerali di Togliatti con la partecipazione di un milione di persone. Le sue sono domande che hanno un peso. E le faccio anche mie».

Lei prima parlava di “vuoto normativo” per quel che riguarda le grandi manifestazioni…

«Bisogna iniziare a pensare a un quadro legislativo che contempli poteri più ampi per spostare determinate giornate di manifestazioni, tracciare percorsi fuori dal centro storico, dare agli agenti di polizia regole di ingaggio certe. Aggiungo un altro punto, delicato e fondamentale: chi organizza un corteo deve essere responsabilizzato. Non deve solo sfilare e urlare i suoi legittimi slogan. No, deve anche assicurare uno svolgimento pacifico della manifestazione, deve contribuire alla sua riuscita, deve ricordare che esiste un altro diritto, quello di chi non manifesta ma vuole vivere la sua giornata senza doversi ritrovare in uno scenario di guerriglia urbana e magari subire danni. Il bene pubblico è pubblico per tutti, non siamo nella terra di mezzo dove tutto è possibile ed è concesso. Non ho notizia di nessuno, del cosidetto corteo pacifico, che si sia prodigato per fermare i delinquenti durante le devastazioni. Questo, francamente, mi lascia molto perplesso».

C’è chi ritiene che i black bloc in questione non siano semplici “teppistelli”, come li ha definiti Matteo Renzi, ma veri e propri terroristi…

«Il reato di terrorismo è un’altra cosa, ha una configurazione diversa. Siamo in presenza di una delinquenza che va punita come tale. In maniera inflessibile. Poi ci sarebbe un lungo discorso da fare su educazione, istituzioni e su cosa sia la libertà. E’ un discorso lungo e riguarda lo Stato, la scuola, le famiglie. Dove sono i genitori di questi ragazzi? Come fanno a non vedere la parabola tragica dei loro figli? Detto questo, chi partecipa a manifestazioni come quella dell’altro giorno e viene beccato – in flagrante o no ha davvero poca importanza – non deve avere mai più la possibilità di partecipare a raduni simili e, anzi, deve recarsi in questura ogni volta che c’è un evento simile che l’ha visto commettere un reato. Devono capire che la prossima tappa è quella della carriera di un criminale. E solitamente è un viaggio lungo che prima o poi finisce molto male. Altrimenti il rischio è che questi elementi si sentano impuniti e continuino, in maniera seriale, a reiterare gli stessi comportamenti».

Che tipo di organizzazione c’è dietro questi facinorosi?

«Siamo ormai di fronte a un fenomeno persistente dello scenario politico, cioè quello di gruppi armati che girano per l’Europa, hanno ramificazioni e organizzazione logistica in tutti i paesi e ogni volta che c’è un evento globale, non importa più di che natura sia e quale sia il programma – si organizzano per sfasciare tutto quello che incontrano. E’ una forma di distruzione totale, di nichilismo, saldata a un movimento transnazionale. Ci deve essere consapevolezza sul fatto che è un problema che non si elimina dall’oggi al domani».

Sfugge infatti il vero motivo di protesta, in questo caso.

«Su Expo? Siamo al surrealismo puro. Mai dissenso fu più sbagliato perché, se è vero che questa gente protesta contro la globalizzazione, il capitalismo, l’ineguaglianza e per il riscatto dei poveri (e in realtà io penso che nella loro testa regni una gran confusione), be’ in questo caso hanno sbagliato bersaglio. Perché l’Expo nasce nel segno della nutrizione e della solidarietà, del cibo per tutti e della crescita. Tant’è che il Santo Padre l’ha benedetta con la sua parola dicendo: “Quella che sentite è la voce dei poveri”. C’era Papa Francesco in collegamento, non l’immagine di Gordon Gekko, il raider di Wall Street. Quindi è incredibile come questa manifestazione, pensata per aiutare il prossimo, sia sfociata nella violenza. Ci sarebbe da ridere, ma è una tragedia, è l’ignoranza che regna su buona parte del dibattito contemporaneo».

Il rischio, adesso, è che situazioni di tensione come quella di venerdì possano ripetersi…

«La cosa si ripeterà sicuramente se non si cambia registro. Questi individui provengono da una manifestazione organizzata il 18 marzo a Francoforte, giorno di inaugurazione della nuova sede della Bce. A Francoforte, in Germania, dove non sono proprio teneri quando c’è da mantenere l’ordine, hanno incendiato 7 auto, ferito 88 agenti di polizia e arrestato 350 persone. Questi stessi soggetti avevano promesso di arrivare a Milano e fare la stessa cosa. Che è avvenuta regolarmente. È evidente che c’è un coordinamento, c’è un’agenda, ci sono gruppi locali che forniscono appoggio, c’è un vero e proprio network internazionale che si raduna in determinate occasioni con l’intento di sfasciare tutto e poi via verso un altro obiettivo. Se restano impuniti, alzeranno il tiro, pretenderanno da se stessi qualcosa di più. E’ la legge della rivoluzione – piccola o grande – che si autoalimenta».

Molti, dopo i fatti di Milano, hanno chiesto ad Alfano di dimettersi. Che ne pensa?

«Alfano non ha brillato finora particolarmente e il ministero dell’Interno è un guaio per chiunque lo guidi. Ma la richiesta di dimissioni, in questo caso, è fuori luogo. Questa è l’occasione più sbagliata per chiedere la sua rimozione. La polizia ha fatto quello che poteva fare in quel contesto. Serve un cambio di regole, di scenario politico, di consapevolezza per fare diversamente. E per prevenire certi episodi serve un grande lavoro di intelligence, di indagine capillare, perché la filiera di questi fenomeni è molto ramificata. Qui purtroppo non siamo più alla protesta ideologica, c’è molto di più, si sta diffondendo una cultura della violenza che è incredibile. E se non la si affronta subito e con intelligenza il passo dalla spranga alla pistola sarà molto breve».

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