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I No Tutto che uccidono il lavoro

Un Primo Maggio particolare, quello di quest’anno in Italia. Inaugura l’Expo rivelando al mondo un’organizzazione magari non perfetta, ma capace e all’altezza. E’ anche e soprattutto la festa dei lavoratori. Una bella giornata, dunque. Rovinata, peggio, deturpata, dalla furia antagonista che già ieri aveva imbrattato Milano.

Oggi, la manifestazione e le violenze, dirette nei confronti di negozi – banche ma non solo – spazi pubblici e forze dell’ordine, senza trascurare qualche tafferuglio anche verso i partecipanti più pacifici. Sono gli antagonisti, quelli che dicono No, no a tutto.

No all’Expo, ovviamente No alla Tav ma anche No al gasdotto Tap, No alle trivellazioni per estrarre petrolio, No al nucleare, No ad impianti per la valorizzazione energetica dei rifiuti e No ad installazioni militari come il Muos.

Una minoranza rumorosa e facinorosa che spesso riesce a bloccare opere ed investimenti. Il tutto con il supporto di quei cattivi maestri che in Italia godono della licenza speciale di essere considerati intellettuali à la page, da Erri De Luca a Fedez.

Chi sono però le vittime finali di questi movimenti impegnati a gridare il loro No? Sono i lavoratori, i lavoratori italiani, che sono o potrebbero essere impegnati in quei progetti, in quelle infrastrutture che sono oggetto di attacchi sconsiderati.

Chi se ne avvantaggia invece? Solitamente interessi stranieri e comunque opachi. Sarebbe interessante se gli investigatori, oltre ad arrestare e condannare i criminali che producono danneggimenti, svolgessero indagini per capire chi finanzia queste attività.

E non sarebbe segno di cedimenti al “padrone” se la voce del sindacato si levasse dal palco di San Giovanni contro gli antagonisti ed a favore dei lavoratori che hanno consentito di realizzare non senza difficoltà l’Expo a Milano. Non hanno diritti loro?

La cultura del No uccide il lavoro. I sindacati italiani non possono pensare di continuare a fare l’occhiolino a questo radicalismo. La crisi della loro rappresentanza non è conseguenza della leadership di Renzi ma della loro ambiguità.

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