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Il Corriere della Sera, chi è il nuovo direttore Luciano Fontana

Gli editori italiani stanno guadagnando in saggezza. Appartiene ormai agli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso l’attrazione esercitata su di loro dai reduci della stagione sessantottina. Che si godevano da direttori, o da altre postazioni apicali, i frutti della loro giovanile partecipazione alle contestazioni di piazza e alle associazioni extraparlamentari di sinistra, spesso limitrofe alle bande armate.

Ogni tanto ci scherzava sopra, ma non troppo, uno sfortunato protagonista della lotta al terrorismo parlandone con gli amici: Francesco Cossiga. Sfortunato perché da ministro dell’Interno non riuscì, nel 1978, ad evitare il sequestro, la lunga prigionia e la morte del suo amico Aldo Moro. Alla cui fine reagì con le dimissioni, destinate tuttavia per la loro drammatica coerenza ad essere poi compensate da una scalata istituzionale senza precedenti: prima la Presidenza del Consiglio, poi la Presidenza del Senato, infine la Presidenza della Repubblica.

Una volta, commentando la brillante carriera giornalistica di un reduce degli anni tumultuosi della contestazione, e tirando fuori da un cassetto della sua scrivania, al Quirinale, un fascicoletto per riporlo immediatamente a posto, senza darmi il tempo di leggerne neppure l’intestazione, Cossiga mi disse con il sarcasmo che lo distingueva: “Quel giovanotto si è meritato il successo, con tutto l’aiuto che ci ha dato con i suoi rapporti informativi dall’interno di Lotta Continua”. Che non era naturalmente un’associazione di carità, come aveva provato sulla sua pelle il povero commissario di Polizia Luigi Calabresi, ucciso sotto casa, a Milano, nel 1972 dopo essere stato indicato proprio da Lotta Continua come il responsabile del volo mortale dell’anarchico Giuseppe Pinelli da una finestra della Questura ambrosiana. Dove il 12 dicembre del 1969 il poveretto era finito ed era stato interrogato per la strage di Piazza Fontana avvenuta tre giorni prima.

Alla ignobile campagna di Lotta Continua, per quanto smentita dai risultati delle indagini giudiziarie, non era seguita soltanto la morte ma prima ancora un manifesto di grandi firme contro Calabresi. Un manifesto che il quotidiano Il Giorno prese l’abitudine di pubblicare negli anniversari della morte dello sventurato Pinelli, sino a quando, arrivato alla fine degli anni Ottanta alla direzione di quel giornale, non decisi di interrompere la tradizione, fra proteste e mugugni che mi amareggiarono.

Memore anche di quel clima che ancora si respirava a Milano tanti anni dopo quell’orribile fine del commissario Calabresi, mi fu poi di particolare sollievo assistere alla fortunata e meritata carriera giornalistica del figlio Mario. Nella quale vidi anche una salutare inversione di rotta della grande editoria a lungo attratta più dai responsabili che dalle vittime della stagione di piombo.

Da qualche tempo, per fortuna, forse anche per il sopraggiunto e lauto pensionamento dei protagonisti di quegli anni terribili, la sinistra nelle cui acque si pescano direttori, editorialisti e quant’altro non è più quella estrema, extraparlamentare o simile, ma quella d’ordine dell’ex Pci e dell’Unità. Una “sinistra d’ordine”, come volle definirla nell’estate del 1982 il generale e prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, poche settimane prima di essere ucciso a Palermo dalla mafia, parlandomi con sollievo del figlio Nando, in quei tempi approdato o in via di approdo nel Pci. Dal quale il generale ricordava di avere avuto un appoggio “serio” all’azione condotta contro il terrorismo negli anni precedenti, quando i comunisti avevano smesso finalmente di parlare di “sedicenti” Brigate rosse e accettato l’invito autocritico di Rossana Rossanda a sfogliare gli “album di famiglia”.

E’ proprio dall’Unità, lo storico giornale del Pci fondato da Antonio Gramsci, che proviene il nuovo direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, già condirettore dell’uscente, anzi uscito Ferruccio de Bortoli, che ne ha peraltro sponsorizzato la promozione.

Sarebbe bello se Fontana esordisse offrendo la possibilità di leggere sul Corriere anche il suo primo direttore all’Unità Emanuele Macaluso: un comunista “migliorista”, cioè riformista, che a 91 anni compiuti, dalla sua indefessa postazione di Facebook è più lucido e coraggioso di tanti giovani, tali solo per ragioni anagrafiche.

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