“Papà, ho letto la proposta sulla buona scuola e mi piace. L’ho trovata sul sito del governo, ho voluto vedere il testo, perché finora mi hanno riempito di chiacchiere e commenti”.
“E che cosa ti piace?”
“Parecchie cose, ma soprattutto che si vuol dare autonomia alle singole scuole. E’ un po’ quel che succede in Svezia”.
Mia figlia frequenta il quarto anno in un liceo pubblico romano e si prepara per il baccalaureato internazionale in francese. Poiché ha anche la cittadinanza svedese ed è fluente nella lingua madre (oltre che in quella del padre, in inglese e ovviamente in francese) vuole fare l’Università in Svezia. Lei sa bene che nel liceo italiano riceve una educazione culturale di base nettamente superiore a quella dei suoi coetanei svedesi. Tuttavia loro conoscono le lingue (soprattutto l’inglese) e le discipline moderne molto meglio degli italiani. Non solo. L’università svedese apre le porte internazionali, in particolare americane, più facilmente di quella italiana. E l’obiettivo di mia figlia è ottenere poi un master negli Usa.
In Svezia la scuola è stata appiattita e omogeneizzata, il livello si è abbassato, la disciplina scarseggia e soprattutto è crollata l’autorità dell’insegnante. Nel decennio scorso sono state introdotte le free school che sono pubbliche, ma autonome, sia sul piano amministrativo sia negli insegnamenti, nella scelta dei docenti e degli studenti (vi accedono quelli con i voti migliori). Sono scuole-azienda come denunciano i professori italiani in sciopero? Sono scuole di classe, scuole dei padroni, con presidi dittatori? E’ stato violato il diritto allo studio o il principio base di ogni costituzione liberal-democratica? C’è forse una dittatura in Svezia? Prevale un criterio meritocratico, questo sì, ed è stata reintrodotta una certa selezione (non durissima per la verità se rapportata ai livelli italiani). Tuttavia, non primeggiano solo i figli dei ricchi, anzi spesso vengono superati dai figli degli immigrati che faticano di più e hanno più voglia di emergere (lo dico per esperienza).
Ma mia figlia ha frequentato anche un liceo parigino, nel quadro degli scambi scolastici bilaterali, ed è rimasta entusiasta per il modo di insegnare, più per temi e argomenti, più dialettico, meno salsiccia da riempire, meno storicista alla Gentile, con maggiore proprietà e tecnica di scrittura (il vecchio tema ha lasciato il posto a saggi e allo schema di risposte organizzate secondo una logica molto cartesiana).
Lo sorso anno, inoltre, ha frequentato un corso per liceali alla American University di Washington ed è stata colpita non solo dalla capacità dei suoi coetanei americani di usare i nuovi mezzi di comunicazione, ma dalla loro preparazione su tutte le questioni contemporanee (tecnica, arte, intrattenimento), dalla loro conoscenza della costituzione e dei meccanismi di governo (in Italia non si studia la Costituzione che, invece, viene citata spesso a sproposito a ogni pie’ sospinto e in questi giorni recitata in piazza da vocianti professori).
Certo, ho preso sul serio il giudizio di una ragazza che non ha ancora 18 anni, tuttavia ella possiede una buona infarinatura sui sistemi scolastici di tre Paesi diversi dall’Italia, due dei quali culla della democrazia liberale e repubblicana, il terzo della socialdemocrazia nordica. A suo parere la “buona scuola” fa qualche passettino verso quei modelli, anche se resta ancora molto indietro perché non affronta i contenuti e soprattuto il modo di insegnare.
Io le ho detto che per questo non basterà un’altra generazione perché i docenti non sono pronti e perché respingono a priori, ideologicamente, ogni cambiamento. Un professore che oggi ha circa cinquant’anni ha già rifiutato la riforma Berlinguer, quella della Moratti, quella di Profumo, adesso quella della Giannini. Ha fatto del suo no una questione identitaria. E rifiuterà qualsiasi altra riforma prima di andare in pensione. La proposta Renzi non è molto coraggiosa, eppure viene considerata già “devastante”.
“Sai una cosa, papà, non sarà d’avanguardia, eppure è meglio cambiare in ogni caso. Così com’è la scuola italiana è piena di muffa. Se si scopre che la riforma non funziona, allora si potrà cambiare di nuovo”.
Così è finita stamane la nostra conversazione. Che dire? Beata gioventù!