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Nozze gay tra confusione e narcisismi

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’analisi di Gianfranco Morra apparsa su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

Col referendum del 1974 l’Italia cattolica confermò il divorzio; nel 1981 accadde la stessa cosa con l’aborto. La cattolicissima Irlanda, che nel 2013 aveva mantenuto il reato di aborto (tranne il caso di pericolo per la vita della donna), ora, ventiduesima nazione del mondo, ha benedetto il matrimonio omosessuale. Un risultato che fa meditare, dato che il via libera non viene dai politici, ma dal popolo (62 % di sì). Che, al 46%, popola le chiese ogni domenica (in Francia il 5 %). Ma i cattolici non hanno alzato le barricate.

Gradualmente accadrà in tutti i paesi occidentali, sul modello tedesco della unione civile prevarrà il matrimonio gay. Ciò che importa è lo sforzo di capire perché siamo di fronte a questo profondo mutamento epocale, dato che, per migliaia di anni, tutte le religioni e le legislazioni hanno condannato i gay. La storia dell’umanità sinora aveva riconosciuto la bipolarità sessuale, su cui si basavano il matrimonio e la riproduzione. A partire dal Settecento, nei paesi evoluti la situazione cambia.

La famiglia si particolarizza nel 2 +, diviene nucleare, una coppia spesso instabile che cede quasi tutte le sue funzioni (produzione, riproduzione, educazione, assistenza) allo Stato. Il diritto non è più «della» famiglia, ma dei singoli «nella» famiglia» (divorzio, aborto, divisione dei beni, cancellazione dell’adulterio). Non è più una «comunità che produce le persone» (Hegel), ma una convivenza provvisoria, intercambiabile e solubile, animata da una ideologia edonista e individualista. Tutto ciò comporta un grande potenziamento della libertà dei singoli nei confronti dei doveri familiari. Lo stesso concetto di «sesso» è stato cancellato, la fisiologia delle devianze ne ha mostrato l’incertezza, la chirurgia ne consente la trasformazione, la psicanalisi ne ha sottolineato la drammatica conflittualità sin dalla nascita. La natura si è fatta flessile e non ha più senso condannare qualcosa perché «contro natura». Dovremo cambiare anche l’art. 29 della Costituzione. Come può la famiglia essere «società naturale fondata sul matrimonio» (espressione voluta nella Costituzione da Palmiro Togliatti), quando non esiste più la natura (sesso), ma solo la decisione soggettiva delle persone (gender)?

Il salto è avvenuto con il trionfo del narcisismo della postmodernità. Ancora alla fine dell’Ottocento, Oscar Wilde trascorse due anni in carcere per omosessualità. Nel Novecento, l’opinione pubblica ha abbandonato lo «stigma» precedente, è passata dalla condanna dei gay alla tolleranza, alla ironia bonaria, al riconoscimento dei loro diritti. Una linea condivisa anche dai difensori del matrimonio eterosessuale, considerata positiva in quanto mette fine a inammissibili derisioni e persecuzioni. Paradossalmente, mentre la sacralità del matrimonio tradizionale si spegne (molti nei paesi europei preferiscono le nozze civili), quello gay, nonostante il numero ancora limitatissimo degli omoconviventi (da noi circa l’1 %), appare animato da una ideologia religiosa e quasi fondamentalista.

Di certo questa linea di soggettivizzazione del matrimonio, del tutto corrispondente al narcisismo dell’uomo postmoderno, è destinata a prevalere. Vi contribuisce la con-fusione dei sessi, la mascolinizzazione delle femmine e la femminilizzazione dei maschi. Il femminismo è stato un forte carburante per la diffusione della gaietà. È giusto riconoscere che non di rado, nelle unioni omosessuali, anche se spesso provvisorie e fuggevoli, c’è molto di più che l’attrazione erotica. Ma ciò che più lascia perplessi non è la coppia gay, sono le conseguenze della famiglia gay sulla educazione dei figli. Anche gli omo li desiderano, tanto che non chiedono solo l’adozione, ma anche il concepimento tecnologico. Sinora l’educazione dei figli richiedeva un padre e una madre (con i loro sostituti padrino e madrina). Non sappiamo ancora se un figlio con due padri o due madri possa avere i modelli educativi adeguati.

Ci troviamo dentro un processo che adatta (bene o male che sia) l’istituto familiare ai mutamenti sociali e ancor più culturali. Nel 1983, in piena crisi della famiglia negli Usa, il sociologo Peter Berger aveva riproposto il modello della modernità: «Una unità naturale composta da genitori e figli, uniti dall’amore, rispetto reciproco, fiducia e lealtà, basata su valori religiosamente ispirati che danno a questa unità di base della vita sociale una specifica qualità morale» (In difesa della famiglia borghese, Il Mulino). Parole ormai lontane e probabilmente per non poco tempo fesse. La trasformazione (o dissoluzione?) della famiglia c’è stata e continua. Accompagnata da patologie sociali quanto mai gravi, che colpiscono soprattutto gli elementi più deboli, figli e vecchi. Sarà solo una crisi di crescenza, come si dice da ormai troppi anni? La famiglia vecchia doveva rinnovarsi, ma sinora è stata trasformata o frastornata? Alla precedente famiglia, che nei tempi passati funzionava, cosa è stato sostituito?


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