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Tutte le capriole di Obama su Ramadi

La riconquista di Ramadi rischia di essere, per Barack Obama, ancora più imbarazzante della sua caduta nelle mani dei drappi neri del califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Dopo aver chiesto al premier iracheno Haider Al Abadi di rinunciare all’apporto delle milizie sciite nella città per non spingere i sunniti verso l’Isis, gli Stati Uniti sono ora costretti, per realpolitik, a supportare con i raid aerei le stesse truppe filo-iraniane che finora osteggiavano.

LA CONTRO-OFFENSIVA

Le ultime ore raccontano di una fase concitata e fluida. Sembrava che i jihadisti avessero preso pieno possesso della città irachena, ma le forze governative del Paese e le milizie sciite sono pronte a sferrare una contro-offensiva per riconquistarla. Baghdad ha annunciato l’arrivo dei già citati “combattenti delle Unità di mobilitazione popolare”, composti da volontari per la maggior parte sciiti (e dunque vicini a Teheran), per dare un contributo agli sforzi delle forze governative.

COSA È SUCCESSO

Ramadi è a 100 km a ovest di Baghdad e da qualche ora la bandiera nera dell’Isis sventola sul quartier generale provinciale, mentre migliaia di famiglie sono scappate dalla città. Sarebbero morte almeno 500 persone nei tre giorni di attacco da parte dei drappi neri, in quella che costituisce una improvvisa battuta d’arresto, prima che le forze irachene provino a riprendere la città con il sostegno della coalizione guidata dagli Usa.

SCELTA SCONFESSATA

Al Abadi (spinto da Washington), era stato finora riluttante a dispiegare le milizie sciite nella provincia, che è ad ampia maggioranza sunnita, e aveva privilegiato le forze reclutate a livello locale. Tuttavia – spiega la britannica BBC – la rovinosa caduta di Ramadi di ieri, secondo i comandanti delle milizie sciite, ha sconfessato questa scelta e ha dimostrato che il governo di Baghdad non può vincere “senza le unità Hashed al Shaabi”.

LE CONSEGUENZE

Ora però ci si trova di fronte a un pericoloso bivio. Se da un lato l’intervento sciita potrebbe essere decisivo per allontanare i jihadisti, dall’altro – rileva il New York Times – sta aiutando l’Iran a indebolire il potere del primo ministro Al Abadi e potrebbe scatenare scontri settari con la minoranza sunnita, alzando ancora di più il livello dello scontro in un Paese ormai al collasso.



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